Massimo Vita, 57 anni, è morto dopo due decenni di coma. Venti, lunghissimi anni trascorsi all’interno di una stanza nella struttura specializzata “Anni Sereni” di Scorzè, in provincia di Venezia, senza nessuna possibilità di uscire da quello stato vegetativo. Unico modo per comunicare: sbattere le palpebre per dire di sì, rimanere immobile per dire di no. La moglie, Monica Pinton, ha raccontato questo lungo periodo ai colleghi de “La Stampa”, sottolineando che l’uomo riconosceva il suo profumo e le feste del cane Tiffany.



“Sorrideva davvero, sorrideva tanto. Sono venuta a raccontargli ogni novità e ogni progresso scolastico di nostro figlio Andrea per tutti questi anni. Abbiamo passato insieme ogni Natale, ogni compleanno. Abbiamo superato anche la pandemia, quando per tre mesi ci siamo potuti fare solo delle videochiamate in cui io continuavo a fargli i nostri racconti. Ero con lui anche domenica mattina, a mezzogiorno e un quarto, quando ha smesso di respirare. Questo è stato il nostro viaggio, molto lungo e difficile. Ma è stato anche gratificante. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che fosse giusto farlo e sono felice di averlo accompagnato nella sua grande forza per stare attaccato alla vita”.



MASSIMO VITA: L’INCIDENTE CHE CAMBIÒ PER SEMPRE LA SUA ESISTENZA

L’esistenza di Massimo Vita fu stravolta il 7 novembre 2001, quando, dopo essere rincasato per pranzo, in quanto suo figlio Andrea, all’epoca 3 anni, non stava bene, verso le due del pomeriggio era salito nuovamente in auto per ritornare al lavoro. Ebbe, purtroppo, un incidente drammatico e, quando fu trasferito in ospedale, era in rianimazione. Nessuna possibilità di uscire dal coma vegetativo, l’amaro verdetto dei medici.

Sono trascorsi vent’anni, quando, come racconta la moglie, “venerdì si è aggravato. Sabato abbiamo passato tutta la giornata insieme. Domenica mattina eravamo in auto lungo la strada, quando un’infermiera ci ha telefonato per dire che restava poco tempo. Ma siamo arrivati subito. A mezzogiorno e un quarto ho mandato giù mio figlio con la scusa di un caffè, non volevo che vedesse. Poi ho detto: ‘Vai tranquillo, amore, io sono qui. Adesso andrai in un posto migliore, dove potrai essere felice e correre tanto’. Lui ha fatto l’ultimo respiro e se n’è andato”. Commosso anche il ricordo di Elisabetta Cazzin, coordinatrice sanitaria della struttura, che ricorda l’espressività incredibile di Massimo Vita, che rideva quando sentiva i cartoni animati e la musica faceva emergere quello stato di coscienza impalpabile: “Massimo ce la metteva tutta, ci seguiva con gli occhi, era sorridente. Quello che ho capito è che queste persone hanno diritto di essere assistite, non dobbiamo mai lasciarle sole”.