Con un +32,8% rispetto al 2020, i prezzi mondiali delle materie prime alimentari hanno fatto registrare un’impennata preoccupante. A lanciare l’allarme è stata la Fao, alcuni giorni fa. Un allarme che fa il paio con quello della Commissione europea, che nell’edizione annuale del rapporto sulle prospettive dei prodotti agricoli ha sottolineato l’impatto che l’aumento dei prezzi di energia e trasporti sta avendo sulle catene di approvvigionamento.
L’aumento dei prezzi, in buona parte previsto a causa delle condizioni create dalla pandemia, riguarda anche petrolio, gas, metalli, imballaggi, fertilizzanti, ma la crescita dei prezzi delle materie prime alimentari può avere un impatto diretto ancora maggiore sui costi di produzione per alcune filiere, come nel caso del latte e della carne, visto che il caro prezzi è trainato da diversi prodotti usati anche per gli allevamenti. Se poi pensiamo alla spada di Damocle delle plastic e sugar tax, che rischiano di innalzare ancora di più i costi di produzione e dunque i prezzi finali per i consumatori, non si preannunciano tempi rosei.
Per questo è importante che il Governo corra ai ripari. Una riflessione prioritaria è quella che riguarda l’autosufficienza alimentare. Un obiettivo difficile da realizzare in tempi brevi, anche a causa dei colpi inferti dalla pandemia, con una diminuzione degli scambi commerciali e un aumento delle speculazioni. Ma che sia una strada percorribile ce lo dimostra la resilienza dimostrata dal nostro tessuto produttivo agroalimentare anche in piena crisi sanitaria, con lavoratrici e lavoratori che non si sono mai fermati, a eccezione di chi operava per il canale Horeca, con la chiusura di bar, hotel e ristoranti, e di alcuni comparti, come il florovivaismo, con lo stop a eventi e cerimonie. E confortano, da questo punto di vista, anche le stime di crescita delle produzioni europee per il 2021-2022, con un +5% per i cereali e un +11,9% per il grano che potrebbero contribuire a riequilibrarne i prezzi.
L’altro aspetto fondamentale è quello degli accordi di filiera. Va assolutamente riequilibrato il valore lungo tutta la catena produttiva, dai lavoratori ai consumatori finali. Come sindacato possiamo fare la nostra parte, ad esempio con la nuova piattaforma contrattuale, in cui proponiamo misure importanti per aggiornare il reddito agli indici economici attuali e implementare gli strumenti di welfare, di sicurezza, di efficienza del mercato del lavoro. Perché non potrà mai esserci un prezzo giusto per il nostro cibo senza la qualità del lavoro e dunque la dignità di chi lo produce.
La politica, invece, può fare la propria parte con tanti altri strumenti, come l’approvazione definitiva della norma contro le aste al doppio ribasso, maggiori controlli e ispezioni contro lavoro nero, concorrenza sleale, italian sounding, misure espansive per sostenere la crescita. Crescita alla quale potranno certamente contribuire anche le risorse del Pnrr, che rappresentano un’opportunità irripetibile con misure specifiche da dedicare alla transizione ecologica, alla tutela delle nostre produzioni, al miglioramento delle infrastrutture.
Il Made in Italy agroalimentare ha dimostrato di saper tenere botta nonostante la crisi. Ed è merito soprattutto dei delegati sindacali se nelle imprese siamo riusciti a tenere insieme la tutela della salute dei lavoratori con la continuità produttiva, applicando i protocolli e gestendo la delicata fase odierna che riguarda i green pass.
Una fase difficile per tutti, anche perché il tema del green pass pone problematiche complesse che non possono essere risolte con risposte grossolane. Si potrebbe pensare, ad esempio, che in agricoltura il certificato verde possa non essere indispensabile per lavorare, perché gli operai agiscono all’aperto e spesso si lavora distanziati. Questo è in parte vero, tant’è che il settore agricolo è tra gli ultimi per numero di contagi sul luogo di lavoro. Ma sia il trasporto dei lavoratori, sia le operazioni negli spazi comuni, nelle serre, negli spogliatoi, non fanno del lavoro agricolo un’isola felice. Non è un caso, dunque, se recentemente l’ente bilaterale per l’agricoltura veronese ha segnalato che il contagio da Covid e i giorni in quarantena hanno portato all’aumento del 46% delle giornate di malattia.
Chiaramente con l’obbligo del green pass, da oggi 15 ottobre, si pongono nuovi interrogativi anche su come le imprese possano svolgere tamponi e controlli. Sarà più facile per le aziende strutturate e ben organizzate, come in tante realtà dell’industria alimentare, più complicato probabilmente per il comparto agricolo, anche perché un terzo dei braccianti è composto da immigrati, oltre la metà dei quali extracomunitari, spesso vaccinati ma con sieri non riconosciuti dall’Ue, né dall’Oms.
Ma che a nessuno venga in mente, approfittando della confusione, di chiudere un occhio sul lavoro nero, lo sfruttamento, il mancato rispetto delle regole. È un dovere di tutti, oggi più che mai, guardare all’interesse della collettività e alla tutela della salute pubblica: vaccino e green pass sono purtroppo gli unici strumenti che abbiamo per uscire dalla pandemia e non rivivere le drammatiche chiusure che hanno messo in ginocchio l’economia mondiale. Proprio come avevamo previsto quando, già a gennaio di quest’anno, avevamo lanciato la campagna di sensibilizzazione “Fai il vaccino”, per salvaguardare i lavoratori che garantiscono il cibo sulle tavole degli italiani e invitare tutti a dare ascolto alla scienza anziché seguire apprendisti stregoni. Ancora una volta, ci salveranno il dialogo, le buone relazioni industriali, la corretta informazione. Non chi vorrebbe speculare, spesso con la violenza e i toni intimidatori, sulle paure delle persone e l’incertezza del tempo che stiamo vivendo.
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