Un po’ di quiete dopo la tempesta. I prezzi delle materie prime alimentari nel 2023 hanno fatto registrare un primo importante calo. A dirlo è l’Indice FAO che nell’anno appena concluso ha fatto segnare una contrazione del 13,7% rispetto al valore medio del 2022, complice anche il risultato di dicembre, mese che incassa una flessione dell’1,5% rispetto a novembre e del 10,1% rispetto a dicembre 2022.
I dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura mostrano come l’andamento complessivo sia frutto di cali piuttosto generalizzati, riscontrati sulla gran parte delle merceologie. I cereali hanno infatti beneficiato di una riduzione del 15,4% rispetto alla media del 2022, grazie all’impulso dato da mercati globali ben forniti. E ancora meglio hanno fatto gli olii vegetali, che archiviano l’anno appena concluso con una contrazione del 32,7% rispetto a quello precedente, e i prodotti lattiero-caseari che decrementano del 16,1%. E ancora, bene fa anche la carne che flette dell’1,8% rispetto al 2022, influenzata dalla persistente debolezza della domanda di importazioni di carne suina dall’Asia. In controtendenza si muove invece lo zucchero che incrementa del 14,9% rispetto al 2022. In questo caso, però, va considerata la netta diminuzione del 16,6% registrata a dicembre rispetto a novembre, causata principalmente dal forte ritmo di produzione del Brasile e dal ridotto utilizzo di canna da zucchero per la produzione di etanolo in India.
Queste riduzioni fanno dunque ben sperare sulla possibilità che nel 2024 si possano registrare riflessi positivi anche sul fronte dei prezzi al consumo. Molto più incerta e complessa è invece la situazione se si guarda l’anello produttivo della filiera: un’analisi di Coldiretti condotta sulla base alle quotazioni dello stesso indice FAO fa infatti notare che nel 2023 i prodotti agricoli vengono pagati ai contadini il 13,7% in meno rispetto all’anno precedente, con cali che vanno dal -17% per il latte alla stalla al -15% per i cereali nei campi. Il tutto a fronte di prezzi per le famiglie aumentati in modo rilevante: si passa dal +2,9% negli Usa al +6,8% nell’Unione europea, dove l’Italia segna un incremento del 5,9%. Ma la situazione più difficile – avverte Coldiretti – si registra nei Paesi poveri, con balzi per fare la spesa alimentare che vanno dal +23,1% del Burundi al +27,5% del Pakistan fino al +32,2% del Ghana.
Una speculazione sulla fame – conclude Coldiretti – favorita dal fatto che l’andamento delle quotazioni dei prodotti agricoli è sempre più condizionato dai movimenti di capitale che si spostano con facilità dai mercati finanziari a quelli delle materie prime come il petrolio, i metalli preziosi fino al grano. In buona sostanza – rileva ancora Coldiretti -, le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto. Il risultato è l’inflazione e la povertà alimentare nei Paesi più ricchi, ma anche gravi carestie e la malnutrizione nei Paesi meno sviluppati.
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