La storia della transizione energetica dell’uomo ci dice che per ogni nuova scoperta di fonti di energia sono scaturite guerre per il loro accaparramento. Lo è stato per il carbone, per l’acciaio, per il petrolio. Ai giorni nostri, la guerra in Ucraina, in questo senso, non fa eccezione.
Con la pandemia è crollato il già traballante e vecchio ordine mondiale. In particolare, con il decoupling delle catene del valore – ovvero con l’inizio del disaccoppiamento della tecnologia e dell’economia occidentale da quella asiatica – per le grandi piattaforme industriali è diventato strategico controllare i traffici di materie prime.
È in questo quadro che è scattata la corsa all’approvvigionamento: se ben ricordiamo, la crisi di microchip, gas e materie prime è qualcosa che inizia nel primo anno di pandemia, dopo il lockdown mondiale e la conseguente forte ripartenza delle produzioni. Tra i diversi Paesi del mondo, inoltre, vi era disallineamento delle misure di contenimento e, in particolare tra i Paesi cosiddetti “fornitori”, il Vietnam è stato in lockdown fino a novembre 2021.
La Cina, approfittando del calo dei prezzi, in quel periodo acquistava ovunque materie prime strategiche – minerali, cereali, cotone – e microchip. Una vera e propria corsa all’accumulo, non soltanto per immagazzinare scorte, ma anche nella consapevolezza che soprattutto l’Europa sarebbe andata in difficoltà. L’inflazione che ne è seguita in questa fase è qualcosa che non vedevamo da trent’anni.
I semiconduttori, comunemente noti come chip, sono essenziali per una vasta gamma di tecnologie, dall’elettronica di consumo ai sistemi di difesa. Hanno un impatto diretto sulla competitività economica e sulla sicurezza nazionale, tanto che la dipendenza da fornitori esteri può rappresentare seri rischi. Nel 2021 la crisi dei microchip ha più volte rallentato e addirittura fermato le produzioni, anche in Italia. Questo spiega le tensioni su Taiwan, dove al momento si produce oltre il 60% dei microchip prodotti al mondo; la sola Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) raggiunge il 50% della produzione mondiale.
Per queste ragioni, tutti i grandi Paesi si stanno organizzando per crescere la loro autonomia. Gli Usa possono contare sui colossi Intel, Nvidia e Amd. Tuttavia, di recente, l’Amministrazione Biden ha stanziato 39 miliardi di dollari in sovvenzioni dirette, oltre a 75 miliardi di dollari in prestiti e garanzie attraverso il Chips and Science Act, per rilanciare la capacità produttiva americana.
Proprio Tsmc ha ricevuto 6,6 miliardi di dollari in sovvenzioni e fino a 5 miliardi di dollari in prestiti, oltre a crediti d’imposta del 25%, per costruire tre impianti di nuova generazione in Arizona. Peraltro, secondo quanto riportato da Bloomberg un paio di settimane fa, il Presidente e Cedo di Tsmc Arizona Rick Cassidy ha dichiarato che il primo stabilimento che sta sorgendo a Phoenix ha raggiunto performance del 4% migliori rispetto agli impianti produttivi comparabili di Taiwan.
Gli Usa stanno maturando un notevole vantaggio competitivo sulla tecnologia digitale, prova ne è il fatto che i preziosissimi chip di Nvidia vengono intercettati dai cinesi sul mercato nero, attraverso qualche Paese amico che dagli Usa può acquistare e che non è sottoposto a restrizioni. Proprio per effetto delle limitazioni dell’Amministrazione Biden sulle esportazioni di chip verso Pechino, nel 2024 il Governo cinese ha deliberato ingenti investimenti per la produzione di semiconduttori. Anche la Russia si sta muovendo in questo senso: secondo fonti locali, Mosca ha di recente favorito la realizzazione di tre importanti stabilimenti per la produzione di microchip su larga scala (Mikron, Angstrem e Milandr) nell’area di Zelonograd, nei pressi della capitale.
Per quanto riguarda l’Europa, nel suo approvvigionamento di microchip è sempre stata dipendente da Taiwan e dagli stessi Usa. Il Chips Act approvato dall’Ue nel 2022 ha l’obiettivo di favorire la produzione di chip in Europa e di renderla autonoma, al di là del grande gruppo italo-francese Stm.
In Italia, nel 2024, sono state fatte operazioni importanti: al di là del grande impianto di Stm a Catania, anche in Piemonte sono stati realizzati investimenti che hanno coinvolto Aixtron (azienda tedesca) e Silicon Box, produttore di semiconduttori con sede a Singapore che peraltro realizza “chiplet”, un chip particolarmente piccolo e innovativo per le sue prestazioni.
Su questo terreno, nei prossimi due/tre anni, matureranno sviluppi significativi. Il ritardo europeo è soprattutto sul piano della tecnologia e, quindi, su quello della competitività.
Twitter: @sabella_oikos
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