Produrre energia con sole e vento, dunque con risorse rinnovabili, vuol dire sfruttare risorse naturali disponibili liberamente ma per fabbricare le attrezzature necessarie servono ugualmente le miniere, non solamente esistenti. Servirà anche aprirne di nuove, con processi che possono durare fino a quindici anni, spiega La Verità. L’intensità minerale della transizione ecologica, infatti, è molto alta. Per produrre un megawatt con energia eolica servono ad esempio da tre a sei tonnellate di rame, circa cinque di zinco, 800 chili di manganese oltre ad acciaio e alluminio per l’infrastruttura stessa.



Una torre eolica da 10 megawatt di potenza, ad esempio, può contenere fino a sessanta tonnellate di rame. Dunque anche incentivando la transizione energetica non si ridurrà la dipendenza dai combustibili fossili. Servono infatti minerali “critici”, nel senso che la loro disponibilità è fondamentale per procedere alla decarbonizzazione. Dunque, un cane che si morde la coda. Nei mesi scorsi l’Unione Europea ha emesso un atto, il Critical raw Materials act, in cui elenca i materiali necessari alla transizione e delinea le modalità con cui l’Europa può ridurre la dipendenza dalla Cina. Si tratterebbe però di misure poco efficaci.



Materie prima, UE fuori dai giochi

La transizione energetica non tiene conto di una realtà importante. Energy Monitor ha esaminato quali sono i Paesi che esercitano un certo grado di controllo delle risorse minerarie necessarie alla transizione. Esaminando dove hanno sede le compagnie che controllano la maggioranza delle miniere già operative o in fase di sviluppo, vediamo che in pole c’è la Cina. I Paesi che più hanno partecipazioni e investimenti in materiali critici sono poi Canada, Usa, Regno Unito e Australia. Il Canada ad esempio nel proprio territorio ha presenza di cobalto, litio, nichel e grafite: complessivamente si parla di 507 milioni di tonnellate di produzione.



La Gran Bretagna ha una produzione nazionale pari a zero ma controlla all’estero più risorse di quelle di Pechino. In Cile e Perù, rame e litio sono le destinazioni principali per gli investimenti esteri nelle miniere di minerali critici. Seguono Kazakistan, Zambia, Indonesia e Repubblica democratica del Congo. Molto indietro, dunque, l’Unione Europea, che non dispone nel proprio territorio di risorse minerarie e non ne controlla neppure. Un segnale della sua debolezza finanziaria e dell’assenza di compagnie minerarie degne di nota, spiega La Verità. Una dipendenza, quella dell’UE, che non sembra dunque destinata a terminare.