Utero in affitto come reato universale: la legge è stata appena approvata da Camera e Senato ed è già esplosa la polemica che vorrebbe ribaltarne il senso e la applicabilità. La contestazione più recente viene dal mondo medico, e non senza una qualche ragione, dopo le ultime parole della ministra della Famiglia, Eugenia Roccella. Durante una recente intervista televisiva la ministra ha affermato: “Un pubblico ufficiale, e anche il medico, è tenuto a segnalare i casi di sospetta violazione della legge sulla maternità surrogata alla procura. E poi si vedrà”, probabilmente intendendo che servono ulteriori indicazioni chiarificatrici per capire in che modo il sospetto verrà indagato e eventualmente perseguito.



Non a caso è arrivata immediatamente la risposta dei medici, attraverso Filippo Anelli, presidente della federazione degli ordini (Fnom): “Il medico ha il dovere di curare: dovere che gli deriva dalla legge – in primis, la Costituzione – e dal Codice deontologico, e confermato dalla giurisprudenza”. Un dovere, spiega Anelli, che “prevale su ogni altro obbligo, facoltà o diritto”.



Giustamente e da sempre la classe medica ha rivendicato il suo primo e ultimativo obbligo: curare, non denunciare, a meno che non si tratti di un fatto che incide sulla salute pubblica, come avviene per esempio per le malattie infettive. Il medico cura con una sorta di alleanza del tutto peculiare che si crea tra medico e paziente, prevista da tempi immemorabili con il famoso giuramento di Ippocrate e che non ha l’uguale in nessuna altra forma di patto, a tal punto che il medico è vincolato da un segreto professionale che non consente deroghe, se non per esplicita concessione dello stesso paziente. I medici quindi non denunceranno nessun sospetto di maternità surrogata: anzi cureranno la madre gestionale, la famosa donna che ha affittato il suo utero in una gestazione per altri, cureranno il bambino e cureranno chiunque altro si rivolgerà a loro per un suo bisogno di salute. Appare quindi del tutto ragionevole che il medico sia “esonerato dall’obbligo di denuncia” nei confronti del proprio paziente, così come “si desume dall’articolo 365 del Codice penale, che esime il medico da tale obbligo quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.



Quindi il medico non deve certo “ostacolare la giustizia” ma non deve neppure, e “soprattutto porre in essere atti che mettano a rischio la relazione di cura, limitando la tutela della salute dei cittadini”.

Il passaggio importante dell’intervento della Roccella però è un altro, di natura più pedagogica che punitiva, e che restituisce alla legge un valore che va oltre la mera sanzionabilità, rilanciando una ritrovata fiducia verso i cittadini. La ministra della Famiglia si augura infatti che la norma possa avere “un effetto fortemente dissuasivo”, scoraggiando chi prova a praticare ciò che, secondo Roccella, va equiparato alla “compravendita di bambini”. È ben noto infatti che nella pratica dell’utero in affitto intervengono con ruoli diversi molte persone con competenze specifiche e con compiti complementari: la donatrice di gameti, l’eventuale partner della madre surrogata, il centro di fecondazione assistita in cui si esegue il concepimento in vitro, la biobanca che fornirà gli ovociti, lo studio legale che seguirà le pratiche medico-giuridiche, dalla stipula del contratto alla cittadinanza del nascituro, ed infine l’agenzia che organizza il tutto, compresi gli eventuali contatti tra le diverse figure coinvolte, i viaggi ed i soggiorni. È evidente come per ogni bambino che nasce da una madre surrogata si attiva un vero e proprio sistema commerciale che richiede una organizzazione complessa e rodata, a volte perfino di tipo internazionale, che implica necessariamente costi notevoli. Un bambino che nasce da una madre surrogata ha un costo elevato che – spiace dirlo – non può non tenere conto delle regole di mercato e del relativo guadagno che tutti si aspettano, come frutto del loro lavoro. Quando la Roccella parla di compravendita di bambini dice qualcosa di estremamente vicino alla verità dei fatti, a prescindere dalla valutazione etica che se ne voglia dare. La gratuità dell’intera operazione è impensabile perché il sistema non può funzionare se non è pagamento.

Nello stesso tempo la ministra ha assicurato che non ci saranno ripercussioni sui bambini già nati: “La legge non ha un effetto retroattivo: avrà effetto per chi d’ora in poi vorrà accedere a questa pratica”. E poi, sempre in chiave rassicurante ha aggiunto: “In Italia, inoltre, c’è una procedura che protegge i minori e, in caso di coppie gay, assicura la possibilità al compagno del genitore biologico di essere riconosciuto come genitore”. E si è impegnata a proporre una sorta di sanatoria per i bambini nati da maternità surrogata e già arrivati in Italia da tempo. Come dire: I diritti dei bambini non si toccano, anche se le procedure conservano una loro intrinseca complessità, che non ha solo carattere burocratico. La famosa stepchild adoption non è un automatismo garantista, ma una concreta opzione per cui un bambino che dovesse arrivare in Italia, dopo essere nato da una maternità surrogata, potrà essere riconosciuto da entrambi i componenti della coppia in base a questa procedura, definita adozione speciale (stepchild adoption).

Sembra proprio che la ministra Roccella abbia voluto ribadire un principio fondamentale: ogni bambino ha diritto ad avere una relazione unica con la propria madre e con il proprio padre, per formare una famiglia in cui padre e madre hanno ruoli diversi e complementari, necessari per prendersi cura del bambino e di tutte le sue esigenze fin dal primo momento. L’obiettivo è tutelare i diritti di tutti, compreso il concepito, come recita l’articolo 1 della legge 40, con una piena salvaguardia del ruolo di tutti.

Se il no alla maternità surrogata, considerata reato universale, è contestualmente un si alla pienezza della maternità, la nuova legge non intende creare falsi ed inutili obblighi per i medici e apre comunque le porte ad una rinnovata chiarezza sulla prassi del riconoscimento dei diritti dei bambini comunque nati da maternità surrogata.

 

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