Da molto tempo in Italia la tutela della dignità della donna aveva assunto una sua specifica e inequivocabile manifestazione di civiltà nella condanna della maternità surrogata (GPA, gestazione per altri), in cui lo sfruttamento non si limita solo all’affitto del corpo, ma capovolge radicalmente il paradigma della maternità.
Nel periodo della gestazione surrogata infatti prevale una logica igienico-salutista: tutelare la vita del bambino, considerato come un prodotto già venduto al migliore offerente. Proibito affezionarsi al bambino che si porta in grembo, per non compromettere il distacco subito dopo il parto. Sono escluse le dinamiche relazionali, ricche di una emotività che rende capaci di dialogare con qualcuno che si sente crescere dentro di sé e che risponde, sia pure come può, con i suoi gesti e i suoi movimenti. È una sensazione di estraneazione dolorosa per la madre, per quanto surrogata, e per il bambino stesso, come confermano numerosi studi in tal senso. Una violenza grave all’uno e all’altra; una violenza che non può non lasciare traccia lungo tutto l’arco della vita successiva.
Finalmente il 23 aprile l’europarlamento ha dichiarato che lo sfruttamento della maternità surrogata è di fatto un reato, esattamente come previsto dalla norma approvata dal Parlamento italiano pochi mesi fa. La direttiva europea fa un ulteriore passo avanti, condannando anche il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, i matrimoni forzati e le adozioni illegali. Una direttiva coraggiosa, che conferma quanto la cultura dei diritti umani ha proclamato fin dal 1948 nella sua Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma tutto ciò mostra quanto sia difficile passare dall’affermazione dei principi alla loro effettiva applicazione.
Il testo è stato approvato con 563 voti a favore, 7 contro e 17 astensioni. Secondo la procedura classica, la direttiva deve essere adottata formalmente dal Consiglio UE ed entra in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE. Le elezioni europee sono ormai a scadenza ravvicinata, per cui speriamo che tutto ciò avvenga nel più breve tempo possibile.
Qualcuno si è chiesto come sia stato possibile raggiungere un consenso così esteso, trattandosi di un tema che fino ad oggi è sempre stato fortemente divisivo, come accade per i temi eticamente sensibili. Partiti diversissimi e coalizioni solitamente schierate contro hanno votato tutti a favore. C’è stata quasi una gara, riconoscibile dagli interventi dei parlamentari di ogni Paese e partito, a chi condannava di più la pratica dell’utero in affitto. Un così ampio consenso sorprende ancor più se si pensa alla bagarre che in Italia ha accompagnato l’approvazione dell’analogo ddl. Come sempre in Europa questi piccoli miracoli di consenso generalizzato sono possibili se si usa un linguaggio che, pur nella sua chiarezza, conserva un certo margine di ambiguità, che consente ad ognuno di votare un procedimento a partire da una sua diversa interpretazione.
Ma c’è un potenziale equivoco. E sta nel fatto che che per alcuni il voto colpisce non tanto la gestazione per altri in quanto tale, ma lo sfruttamento della madre surrogata. Ossia colpisce lo sfruttatore, colui che fa della maternità surrogata un vero e proprio mercato, ma salva la buona fede di quella donna, che accetta di diventare madre surrogata per un gesto di bontà e di magnanimità.
È su questa duplice ambiguità che occorrerà fare chiarezza e vigilare in un prossimo futuro, perché il male, comunque lo si faccia, ha bisogno di una giustificazione che cerca una sua ragione di bene, sia pure parziale. C’è, in alcuni di coloro che hanno votato questa procedura, definita con i peggiori modi possibili – sfruttamento, violenza, mercimonio – la più antica delle giustificazioni possibili: il fine giustifica i mezzi. Se lo si fa mossi da una strana pietas verso chi non può avere figli; se lo si fa a fin di bene, allora anche la GPA è permessa. Se ne sottolinea l’aspetto virtuoso, per giustificare l’aspetto per altri versi condannato e votato, perché nella cosiddetta GPA solidale non c’è né violenza né sfruttamento. La donna, le due donne, sono consenzienti in una sorta di “alleanza” in cui il bambino non è più soggetto, ma oggetto di scambio e passa indifferentemente dall’una all’altra, come se i mesi di gestazione non abbiano alcun valore né sul piano fisico, né sul piano psicologico, né sul piano morale.
Conservano però tutto l’impatto economico, di chi paga e si fa pagare per un’impresa che non ha prezzo, perché la vita umana non può avere alcun prezzo! E se una donna, ancora oggi, accetta di affittare il proprio corpo per povertà e indigenza, fisica, materiale, allora la soluzione va trovata in altri modi, perché nessuna donna deve trovarsi davanti a questa alternativa drammatica. Nessuna donna deve dover vendere sé stessa per nessun motivo. E se un’altra donna desidera avere un figlio, senza poterlo avere, allora occorre rivedere la normativa sulle adozioni, nazionali ed internazionali, pensando anche a quanti orfani le guerre stanno lasciando sul campo, vittime di crudeltà e di violenza. Bambini assolutamente bisognosi di trovare un contesto di pace in cui vivere più serenamente di quanto abbiano fatto finora.
Il voto del Parlamento europeo, con 563 voti a favore e solo 7 contrari è chiarissimo e va difeso nella sostanza, senza cedere ad interpretazioni riduzioniste. L’utero in affitto è una pratica disumana, cinica, che offende le donne e trasforma la maternità in un business, riducendo i figli a una potenziale merce o prodotto acquistabile magari su web. Questo voto così massicciamente positivo è un atto di civiltà e un passo in avanti fondamentale, che non può essere vanificato da interpretazioni devianti dal suo stesso senso e significato.
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