A chi ha assistito in questi giorni alle proteste sollevate dalla sinistra a difesa dei diritti civili delle coppie omosessuali, sembrava di essere tornati ad una situazione analoga a quella che sette anni fa condusse all’approvazione della legge sulle unioni civili: la legge 76 del 20 maggio 2016, la cosiddetta legge Cirinnà. Oggi il dibattito si è spostato su di un loro presunto diritto alla genitorialità.
La battaglia parlamentare sui diritti civili delle persone omosessuali era allora totalmente concentrata sui diritti di coppia per affermare diritti il più possibile analoghi a quelli che si acquisiscono con il matrimonio.
L’unione civile consiste infatti nell’unione sentimentale ed economica tra due persone maggiorenni dello stesso sesso, alla quale lo Stato italiano ha riconosciuto uno status giuridico analogo a quello del matrimonio.
La legge fu approvata dopo un dibattito molto acceso nelle aule parlamentari e con una condizione chiara ed inequivocabile: non avrebbe dovuto contenere riferimenti alla step child adoption. Detto in altri termini, si trattava di un contratto tra due adulti consapevoli e consenzienti che non coinvolgeva l’asse genitoriale.
Senza questa condizione sarebbero venuti meno i voti favorevoli di un’ampia parte del parlamento, molti dei quali della stessa sinistra. Il motivo era chiaro allora e lo è ancora oggi. Non si volevano ipotecare i diritti dei figli costringendoli a vivere in una condizione di omogenitorialità.
Oggi sembra proprio che la sinistra abbia dimenticato alcuni contenuti specifici di quel dibattito che per molti mesi accompagnò l’approvazione della legge sulle unioni civili. La sinistra accettò questo compromesso, evidentemente senza coglierne tutte le implicazioni giuridiche e socio-antropologiche. Oppure, pienamente consapevole di cosa implicava, decise ipocritamente che in un prossimo futuro non ne avrebbe tenuto nessun conto.
Nessuno pone in dubbio la capacità di voler bene delle persone omosessuali. Il fatto è che il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre non ha solo implicazioni affettive. Affonda le sue radici proprio nella diversificazione della relazione che un bambino può e deve mantenere con suo padre e sua madre, apprezzandone soprattutto quelle specifiche diversità che ne garantiscono la libertà.
La battaglia di una gran parte della sinistra oggi ha spostato il suo baricentro dai diritti dei figli ai presunti diritti dei genitori. La Costituzione italiana parla dei doveri dei genitori ad educare i figli e non accenna affatto al loro diritto ad avere figli (articoli 29-30-31).
Per una coppia omosessuale la possibilità di avere dei figli richiede necessariamente l’intervento di una terza persona di sesso diverso, che apporti alla coppia ciò che le manca strutturalmente. Basterebbe questa evidenza essenziale per ridimensionare richieste e pretese delle coppie omosessuali, ma c’è una ulteriore riflessione che occorre prendere in esame. Essa riguarda il modo con cui una coppia omosessuale, soprattutto se formata da due uomini, cerca di soddisfare il proprio desiderio, mediante il ricorso all’utero in affitto. Una pratica che sottopone le donne ad un vero e proprio processo di mercificazione: sia la donna che mette in vendita i propri ovuli, sia la donna che affitta il proprio utero. Non a caso molte femministe hanno fatto sentire la loro voce di protesta davanti a questa nuova forma di schiavitù.
Occorre riconoscere l’eterna ansia di potere dell’uomo per capire fino in fondo dove arriva questa nuova strumentalizzazione delle donne al volere maschile; fino a dove si spinge per soddisfare quello che sembra un “nuovo” diritto del maschio alla sua impossibile paternità.
La donna che accetta di vivere questa maternità surrogata deve sapere fino a che punto cede il suo diritto sul proprio corpo a chi ne abuserà per soddisfare un diritto che tale non è, se non nella eterna fantasia del maschio e del suo desiderio di trasformare ogni desiderio in un nuovo diritto. Costi quello che costi al figlio e alla madre, ciò che conta è il desiderio del “nuovo” padre-padrone.
Una strana battaglia falsamente progressista, mentre nega tutte le evidenze scientifiche e giuridiche; gridata nelle piazze, incapace di un confronto sereno, con i nervi sempre a fior di pelle, come ha mostrato il recente confronto Roccella versus Annunziata, dove i toni pacati della prima sono stati interpretati in modo provocatorio dalla seconda, incapace di reggere un confronto che per la ministra della Famiglia non aveva nulla di ideologico ma attingeva direttamente al mondo della scienza e dell’antropologia.
La Schlein, nuova leader del Partito democratico, ha fatto dell’utero in affitto il core business della sua campagna elettorale prima e il suo brand politico ora, senza tener conto che oltre alla logica dei nuovi diritti civili, molti dei quali debbono ancora essere verificati alla prova dei fatti, ci sono anche quei diritti di ben più ampia tradizione, consolidati dall’esperienza e radicati nella dimensione biologica dell’uomo e della donna e nella loro indubbia complementarietà.
Certo che sorprende l’impegno della nuova leader nel voler ridurre l’identità della sinistra ad un prodotto surrogato e ad una compravendita di ovuli per poi cercare un utero da affittare. Sembra un supermarket…
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