Matilde Lorenzi non compirà vent’anni, non capirà mai che cosa significhi essere giovani, non diventerà mai consapevole che a diciannove anni si è ancora piccoli, all’inizio della strada. È morta da giovane promessa dello sci italiano in Val Senales, durante un allenamento che la preparava all’imminente stagione sciistica. Matilde si preparava alla neve perché gli sportivi sono rimasti gli unici a capire che occorre prepararsi all’incontro con la realtà. Solo che quando si pensa alla realtà, sovviene alla mente soltanto un campo, una piscina, una pista: nessuno pensa mai a che cosa sia la realtà. Il dolore della famiglia di Matilde coincide, infatti, col desiderio che Matilde torni a casa, che il male non distrugga la realtà vista e vissuta in tutti questi anni.
Eppure, nonostante tutte le parole di cordoglio e di circostanza, Matilde non tornerà mai a casa e il suo talento – c’è da scommetterlo – verrà col tempo disperso, dimenticato. Per questo la domanda più urgente per Matilde, e per i tanti che ogni giorno smettono di vivere, non è tanto come sarà possibile ricordarla e mantenerne viva la memoria, quanto dove sia – dove si trovi adesso – quella vita spezzata. È questo che vorremmo sapere tutti su nostro figlio, su nostra moglie, sui nostri genitori. È questa la vera questione urgente della vita, che – per uno scherzo del destino – si ripropone nei giorni in cui la Chiesa si prepara a festeggiare i Santi e a commemorare tutti i defunti.
Tutti hanno bisogno della resurrezione dei morti, ma nessuno – in fondo – ci crede più. Sembra una fantasia, una storia, una suggestione, un’idea. Eppure, c’è stato un tempo in cui era un annuncio, qualcosa da raccontare. Non perché le persone avevano visioni o strane rivelazioni, ma perché si imbattevano in una umanità radicalmente cambiata, guarita, risanata. Resurrezione non era diventare fantasmi, ma riscoprirsi più umani e più vivi. E raccontarlo a tutti. Nell’intima convinzione che se qualcosa aveva smosso una vita morta come la mia, allora avrebbe potuto smuovere perfino la mia stessa morte.
La certezza della resurrezione non matura per un accumulo di prove, quasi che ad ogni visita al cimitero una persona potesse collezionare segni e manifestazioni paranormali; la certezza della resurrezione cresce nella quotidiana esperienza di sé e degli altri. Un’esperienza per cui ci si ritrova toccati, voluti, amati. Incredibilmente nuovi.
Dov’è, allora, Matilde Lorenzi oggi? Non è – come ha detto Laura Pirovano – presente ad ogni curva. Non scia sulle nuvole, come spesso si dice ai funerali, quando si osano i paragoni più arditi nel tentativo di esorcizzare la tristezza. Matilde Lorenzi è nella sua tomba. Finché non si fa i conti con questo fatto, finché non si sente tutto il dolore di un cuore che non batte più e di un’umanità che non sogna più, lo spazio della vita è un’illusione, il commiato è un’illusione, le parole di conforto sono un’illusione. La potenza del cristianesimo, che è stata dimenticata da questo tempo, è tutta in questo sfrontato e inaudito coraggio di dire la verità, di ricoprire la vita non con illusioni o metafore, ma con parole che sfidano il vero. Matilde Lorenzi è morta, il suo corpo sarà presto chiuso in una bara, forse cremato. La sua vita è finita. Come è necessario che tutto questo sia vero, che la morte sia vera. Perché se non fosse vera, non si creerebbe lo spazio per un’assurda possibilità, per l’inaudito di Dio che tocca ciò che per l’uomo è simbolo di impotenza per ridestarlo a nuova vita. Non è qui, è risorta! E ha lasciato il suo amore, la sua passione per la neve e per lo sci, come eredità ai suoi amici, come compito ai suoi genitori. È morta. E proprio per questo può iniziare una nuova vita.
Spesso guardiamo a chi ci ha lasciato per l’esistenza che non c’è più. Ignorando, di fatto, tutta l’esistenza che – con quella morte – è iniziata. Matilde Lorenzi partecipa di tutto questo. E forse qualcuno dovrebbe avere l’ardire di dire che l’unica speranza che abbiamo di continuare a stare con lei è quella di abituarci a riconoscere, in ogni istante del tempo, il volto della resurrezione, il volto di Uno risorto.
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