Quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, conclude il suo discorso, l’applauso che scatta dalla platea del Meeting di Rimini, arrivato alla 42esima edizione, non sembra affatto una consuetudine di circostanza e comunica anche l’impressione di essere stato seguito quasi con un’apprensione particolare.



Si comprende dall’attenzione che è stata tributata al presidente, per quello che ha voluto esprimere in un periodo tanto delicato e difficile per l’Italia e il mondo intero. Dice e quasi scandisce Mattarella: “Possiamo farcela. Dipende anche da noi. Ciascuno viene – e deve sentirsi – interpellato: il coraggio dipende dalla capacità di ciascuno di essere responsabilmente se stesso. Del resto, è questa la condizione dell’esercizio della libertà”.



È un invito al coraggio quello che il presidente della Repubblica invia ai giovani e meno giovani frequentatori del Meeting, che dopo un periodo di travaglio pandemico e in un quadro di drammatica difficoltà storica e politica ritorna finalmente “in presenza”, non più solo collegato con i mezzi elettronici.

E anche questo è un atto di coraggio che il presidente sottolinea all’inizio del suo discorso: “per aver portato ancora più avanti, per un nuovo tratto di strada, il testimone che hanno ricevuto credo che aver realizzato l’edizione di quest’anno non sia stato semplice, a fronte delle necessarie limitazioni legate alla pandemia. È, dunque, motivo di soddisfazione aver riaffermato la tradizione del Meeting ed essere riusciti a offrire questa rinnovata occasione di incontro”.



Il ricorso al coraggio sembra un motivo conduttore che Mattarella coglie sia nella rinnovata edizione del Meeting, sia nell’impegno attuale dell’umanità, sia proprio nel tema conduttore di questa edizione.

Mattarella lega il suo discorso alla precedente presenza al Meeting: “Il titolo scelto per questa edizione riprende un’espressione di Kierkegaard: ‘Il coraggio di dire io’. Nel 2016 ho avuto la gradita opportunità di prendere la parola al Meeting quando nel tema proposto l’accento cadeva sul ‘tu’. ‘Tu sei un bene per me’. Ho colto subito l’evidente collegamento tra l’indicazione di ieri e quella di oggi. Sono trascorsi cinque anni intensi. Nel tempo che viviamo i cambiamenti si fanno sempre più accelerati e sono sempre più interdipendenti”.

Qui Mattarella fa un passaggio sintetico ma molto efficace sulla forza di questo virus che ha scoperto la nostra “fragilità”. Spiega il presidente: “Ci siamo scoperti più fragili di quanto credevamo. Abbiamo compreso con maggior chiarezza di aver bisogno del sostegno degli altri. Abbiamo fatto esperienza del dolore, della paura e della solitudine. Ma nella comunità abbiamo trovato risorse preziose, decisive per far sì che le nostre speranze, le nostre aspirazioni non venissero sradicate e potessero ancora trovare conferma e sviluppo. Avere il coraggio di dire io richiama la necessità di rivolgersi ad altri, a uno e a tanti tu”.

E qui Mattarella dà un’altra spiegazione e lancia con altre parole un invito al coraggio: “L’io ha bisogno di avvertire la propria responsabilità e di riconoscere gli altri per comporre il noi della comunità. È l’io che riconosce il valore della diversità… Il richiamo all’io mette in evidenza il compito verso i tanti tu che incontriamo”. E poi, quasi lapidario ma anche giustamente orgoglioso della capacità di coraggio di una persona, di un io, di un tu e di una comunità, “per tutto questo, per scegliere il proprio destino, è necessario che la persona conquisti piena coscienza del proprio valore, del proprio essere originale e irripetibile. Così da comprendere di doversi mettere in gioco”.

A noi sembra riduttivo che un discorso come quello di Mattarella sia ridotto solo a un “dovere”. La sconfitta stessa della pandemia che passa dalla persona singola alla comunità è un invito al coraggio collettivo di fronte alle sfide che la realtà ci pone sempre.

Il Mattarella che parla a Rimini non si ricollega specificamente ai fatti politici che stanno squassando il mondo. Ma lo stesso invito al coraggio più ampio si rivede quando dice: “Vi sono tanti aspetti che la società globale propone. Accanto a straordinarie opportunità, incrementate dallo sviluppo della tecnologia, emergono anche nuovi rischi di omologazione, di esclusione, di smarrimento, di sfiducia. Anche di un io che si annulla nell’omologazione dell’uso improprio di quella grande risorsa positiva che è offerta dal web”.

Ma tutto questo non serve a nulla se non si fa appello al coraggio: “Libertà e democrazia richiedono, per rafforzarsi, un retroterra vivo di partecipazione, autonomia di organizzazione sociale, conoscenze diffuse in modo da alimentare una cultura ricca di creatività, trama di coesione, rispettosa delle reciproche differenze. Il primo presupposto della libertà sta proprio nella coscienza della persona”. E quindi nel coraggio di vivere.

Tutto questo vale contro il terrore della pandemia, l’orrore della guerra, il dramma di un mondo in subbuglio.

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