Trentasette minuti, intervallati da 55 applausi, una parte finale in cui ha scandito e declinato per ben 18 volte la parola dignità e, alla sua chiusura, il Parlamento lo ha omaggiato di una standing ovation lunga quasi 4 minuti. Così Sergio Mattarella si è presentato ieri davanti ai grandi elettori che, settimana scorsa, lo hanno spinto a tornare al Colle, sebbene lui avesse programmi diversi. “Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza”, ha ricordato Mattarella, dopo aver giurato sulla Costituzione. Dopo aver sottolineato la necessità di ritrovare un’unità d’intenti, di dare risposte urgenti ai bisogni delle persone, di rimanere ancorati all’Europa, il Capo dello Stato ha affrontato due passaggi chiave: da un lato, il richiamo a ridare centralità al Parlamento e tempestività alla democrazia; dall’altro, “mi preme sottolineare – ha detto testualmente – che un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia. Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività”. Nel complesso – osserva Stefano Folli, editorialista politico di Repubblica, “Mattarella ha delineato un programma per l’Italia che deve ripartire, si è ritagliato un ruolo più incisivo, facendo capire che tiene d’occhio tutto quello che succede anche sul piano del governo, e ha ripreso il suo posto con grande determinazione, di cui anche i partiti devono tenere conto se non vogliono avvitarsi in una crisi senza fine”.
Non ha l’impressione che nel suo discorso abbia parlato più al paese che al Parlamento?
Non sono del tutto d’accordo. Direi piuttosto che ha parlato anche al Parlamento, perché lo ha rimesso la centro, ha cercato di ridargli una certa dignità perduta e ha ricordato che non deve essere costretto nei tempi, umiliato perché messo nelle condizioni di non operare.
Ha però delineato le coordinate per un’Italia che deve ricostruire il dopo emergenza Covid con un nuovo protagonismo, anche in chiave europea.
Su questo punto sono d’accordo: Mattarella ha delineato un programma per l’Italia che deve ripartire. E proprio il Parlamento diventa fondamentale in quest’opera di ricostruzione nazionale.
In effetti, ha colpito molto questo riferimento alla centralità del Parlamento, soprattutto perché rivolto a un Parlamento vicino alla sua scadenza e che nel 2023 uscirà rivoluzionato nei numeri e nella geografia politica. Come va inteso questo richiamo?
È rivolto all’attuale Parlamento, ma la sostanza del messaggio vale anche per il prossimo. Mattarella ha infatti parlato da presidente eletto e non era assolutamente pensabile che facesse cenni al fatto che il mandato sarà più breve dei 7 anni. Lo vedremo in base alle circostanze, ma oggi non aveva alcun senso che ci fosse un riferimento a un mandato breve. A testimonianza che intende rispettare fino in fondo il mandato ricevuto, pur non avendolo lui cercato e che il Parlamento gli ha conferito quasi con un atto di simil-rivolta nei confronti dei partiti e della loro inerzia.
È stato anche un messaggio al Governo, al ricorso troppo frequente alle decretazioni d’urgenza?
È certamente anche un messaggio a Draghi affinché il governo rispetti il Parlamento, gli dia la possibilità di agire senza strangolarlo.
Dalle parole e dal tono, il Mattarella bis lascia presagire che andremo incontro a una presidenza forte, a un settennato diverso dal precedente?
In parte sì. Perché, pur nel suo stile, che non è certamente quello di Napolitano, e pur senza richiami a riforme istituzionali, che evidentemente lui non sente o che ritiene non sia il momento di palarne, ha tenuto un discorso piuttosto impegnativo, con un tono alquanto netto. Credo che andiamo incontro a un periodo in cui il capo dello Stato si ritaglierà un ruolo più incisivo nella vita politica quotidiana. Sempre comunque nel suo stile. Di certo, ha fatto capire che tiene d’occhio tutto quello che succede anche sul piano del governo. Sarà molto attento, come ha dimostrato nei suoi passaggi sulla magistratura.
Non ci si aspettava un j’accuse contro i partiti politici, ma è arrivato appunto un brusco richiamo sulla riforma della giustizia. Dopo le tiepidezze del primo mandato, che cosa dobbiamo aspettarci da Mattarella su questo fronte?
Dobbiamo aspettarci un presidente molto più deciso. È stato molto esplicito nel prendere atto che la magistratura è drammaticamente in crisi e che lo stesso Csm va profondamente riformato. A fine 2022 scadrà l’attuale consiliatura ed è molto probabile che Mattarella agisca per cambiare le cose in seno al Csm, essendo l’organismo dirigente della magistratura, che deve ritrovare il suo ruolo nell’equilibrio dei poteri. Un ruolo che non sia d’intralcio né che possa assumere una dimensione politica. In sostanza, Mattarella ha voluto dire che la magistratura non deve precipitare in un declino correntizio. Di correnti si muore.
Che cosa cambierà da oggi per Draghi, il suo governo e per i partiti politici, richiamati a una unità di intenti e a risposte urgenti da dare senza ritardi?
Al Quirinale c’è un garante, che ha ripreso il suo posto con grande determinazione. Il governo ne deve tenere conto, così come i partiti, se non vogliono avvitarsi in una crisi senza fine.
(Marco Biscella)
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