Che al Presidente non mancasse un’anima pop era noto da tempo. Da quando fece sistemare la porta delle consultazioni del Quirinale per rispondere alle garbate prese in giro di una trasmissione televisiva che ne vedeva la sua asimmetria ad ogni apertura. Seppur compassato e istituzionale, il suo messaggio, molto chiaro, è stato un omaggio a Giorgio Gaber. Libertà è partecipazione. Proprio così ha detto. La politica langue nelle sue incomprensibili strategie, nel mentre il Paese la abbandona nelle urne.
A venir meno è quella parte del Paese che un tempo si chiamava “maggioranza silenziosa”, quella che non urlava in piazza e non scrive oggi sui social, ma che prima riusciva a farsi intendere e tenere il Paese al suo posto dando il consenso a forze solide e serie. E che invece oggi è una maggioranza assente, oltre che silenziosa. Un maggioranza spaventata dai toni estremi da starlette dei social che ormai sono l’unico metodo comunicativo accettato come efficace dai leader politici. Minoranze motivate che alle urne si esprimono e un maggioranza disinteressata che non partecipa al voto.
Questo teme il Presidente. Che si perda il nerbo della società civile, borghese, moderna, solida o che si faccia irretire dalle spire di chi, testualmente, manipola le masse con meccanismi di intelligenza artificiale applicati ai social. Il rischio è che George Orwell ci avesse azzeccato nel preconizzare il grande fratello che tutto sa e tutto gestisce. E che questa interferenza sia usata per destrutturare il Paese distraendolo con trucchi e magheggi.
Perciò ha voluto ricordare che la pace non è qualcosa di stabile, come la democrazia. È un processo, un’aspirazione, un’ambizione a cui bisogna applicarsi sempre e comunque. Come per la democrazia, se non la si pratica, se non la si vive, se la si partecipa, essa si perde senza accorgersene. Il riferimento è indirettamente a tutti quegli strumenti che hanno diffuso a sinistra come a destra il germe di un populismo semplicista alimentato da “card” di Instagram, frasi ad effetto, microvideo di propaganda che smuovono le pancia senza far accendere il cervello.
Tornare alle basi, per la politica e per il Paese è l’unica via praticabile. Ed i vari imbonitori da social se ne facciano una ragione. La nuova partecipazione che Mattarella cerca è quella civica contro la violenza sulle donne, la resistenza alla mafia, i progetti per cittadini non normodotati, quel popolo commosso che ha trovato a Cutro. Quel mondo civico che spesso ha dato alla politica più di quanto ha avuto. E questo sarà il suo indirizzo nei prossimi mesi. Vigilare sulla Costituzione affinché essa venga rispettata anche quando è sotto attacco, subdolo, di chi vorrebbe stravolgerla passando attraverso il disimpegno dei cittadini o il loro inganno, e non è un caso che non ci sia la parola Europa nel suo discorso, che non si parli di riforme da fare, o di temi altamente politici. Di questo Mattarella sa che i cittadini hanno poco interesse. Siamo, in pratica una democrazia convalescente dopo la sbornia tecnologica che ha portato al potere tutti sull’onda dei social, da Luigi Di Maio a Giorgia Meloni. Nessuno di loro è stato immune da questa tentazione di usare la tecnologia per vincere con i trucchi della comunicazione. Ed ora, come dopo ogni malattia, ci invita a ripartire dai fondamentali. Ricominciare a camminare un passo alla volta. Riprendere a partecipare alla vita pubblica per tutelare le nostre libertà, la nostra comunità. Casomai riascoltando di tanto in tanto il pezzo di Gaber invece che passare ore su TikTok. Così, per provare a capire quello che ci stiamo perdendo quasi senza accorgercene.
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