«Sergio Mattarella non può fare pressioni sulle toghe, né sciogliere il Csm»
: questa un’estrema sintesi della lunga nota diffusa dal Quirinale sulle vicende inerenti al mondo giudiziario. Il Colle ha messo in risalto che il capo dello Stato ha già espresso «grave sconcerto e riprovazione per quanto emerso, non appena è apparsa in tutta la sua evidenza la degenerazione del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e magistrati».
Intervenuto al Consiglio Superiore della Magistratura, Mattarella ha inoltre sollecitato modifiche normative di legge e di regolamenti interni per impedire quanto registrato negli ultimi giorni, ma non solo: il presidente della Repubblica ha esortato il Parlamento ad approvare «una adeguata legge di riforma delle regole di formazione del CSM», in grado di restituire all’Ordine Giudiziario «il prestigio e la credibilità incrinati». Il Quirinale ha però tenuto a precisare che il presidente Mattarella non può sciogliere il Csm in base a una propria valutazione discrezionale.
MATTARELLA: “NON POSSO SCIOGLIERE CSM”
Come dicevamo, il presidente Sergio Mattarella ha invocato una riforma del Csm: «Se i partiti politici e i gruppi parlamentari sono favorevoli a un Consiglio Superiore della Magistratura formato in base a criteri nuovi e diversi, è necessario che predispongano e approvino in Parlamento una legge che lo preveda: questo compito non è affidato dalla Costituzione al Presidente della Repubblica ma al Governo e al Parlamento». Una riforma da fare in tempi brevi, la sottolineatura del Quirinale.
Poi una netta presa di posizione sullo scandalo delle chat tra magistrati – che ha coinvolto anche attuali ministri – con tanto di attacchi al leader della Lega, Matteo Salvini: «Per quanto attiene alla richiesta che il Presidente della Repubblica si esprima sul contenuto di affermazioni fatte da singoli magistrati contro esponenti politici va ricordato che, per quanto gravi e inaccettabili possano essere considerate, sull’intera vicenda sono in corso un procedimento penale e diversi procedimenti disciplinari e qualunque valutazione da parte del Presidente della Repubblica potrebbe essere strumentalmente interpretata come una pressione del Quirinale su chi è chiamato a giudicare in sede penale o in sede disciplinare: la giustizia deve fare il suo corso attraverso gli organi e secondo le regole indicate dalla Costituzione e dalle leggi».