La visita di Sergio Mattarella negli Usa si colloca in un momento particolarmente delicato dei rapporti tra Washington e l’Europa. Mattarella si adopererà per contribuire al rilancio delle relazioni tra Ue e Stati Uniti complicati dal contenzioso sui dazi imposti dagli Usa anche sui prodotti italiani.

Ma l’agenda dei colloqui non potrà non contenere un franco scambio di idee sulla situazione in Siria. La decisione di Donald Trump di ritirare le truppe americane dal Nord della Siria, abbandonando i curdi alle conseguenze dell’invasione turca, è la conferma che aspetti di fondo del ruolo e della funzione cui hanno assolto gli Usa nel corso dei decenni sono mutati.



Il lungo ciclo politico apertosi alla fine della seconda guerra mondiale sembra concludersi. Si era retto sull’idea che l’interesse degli Stati Uniti e dell’Europa coincidesse con l’espandersi della democrazia e della libertà dei traffici, del commercio e della circolazione di idee e persone. Il prevalere di questa idea aveva consentito agli Stati nazionali europei di avviare il processo di integrazione. Dopo il 1945 questa è stata la direttrice che ha orientato ininterrottamente la politica di Washington. Con Trump, quel rapporto tra Europa e Stati Uniti non è più assicurato.



Il mutamento dell’asse geostrategico degli Usa era già iniziato con Obama, che aveva spostato l’attenzione verso il Pacifico sulla base di considerazioni geopolitiche. Oggi Trump giustifica la sua azione con ragionamenti prettamente economici. Rilancia politiche protezioniste e ritiene che questa sia la via per fronteggiare l’aggressività economica e commerciale della Cina.

La Cina odierna non è “la fabbrica del pianeta” di venti anni fa. E la questione che suscita maggiore preoccupazione agli americani non è l’avanzo commerciale cinese. La vicenda Huawei ci dice che la Cina “può pianificare la conquista di posizioni egemoniche nelle tecnologie strategiche”, dal 5G all’intelligenza artificiale. Non solo. La crescita delle spese militari della Cina è impressionante e non conosce limiti. La grande crisi del 2008, sostiene Federico Rampini, ha convinto i dirigenti cinesi che il loro modello autoritario sia superiore alle liberaldemocrazie occidentali e con l’avvento di Xi Jinping la svolta verso il “trionfalismo nazionalista” si è fatta ancora più marcata.



Anche Mosca è convinta che la preminenza dell’Occidente sia in declino e che si stia costituendo un nuovo sistema multipolare, “un ordine basato sul realismo conservatore e sulla sovranità nazionale” al cui interno la Russia ritiene di poter giocare un ruolo. La Russia di Putin resta tuttavia un nano economico, non vi è stato il decollo della modernizzazione economica proclamato da Putin. Il vero sfidante all’egemonia occidentale è a Pechino. Una situazione internazionale in cui sarebbe necessario rilanciare l’intesa e la cooperazione tra Stati Uniti ed Europa.

Qui il ruolo dell’Italia. In realtà il nostro Paese si è mosso negli ultimi anni in modo ambiguo e contraddittorio. Ciò è apparso evidente nella gestione della “Belt and road iniziative”, la Nuova Via della Seta promossa da Pechino. Un’iniziativa che costituisce non solo il tentativo di legare in maniera strutturale i paesi che ospiteranno le infrastrutture di collegamento tra la Cina e l’Europa occidentale, ma anche un’oggettiva sfida da parte di Pechino agli Usa.

L’adesione dell’Italia, unico Paese del G7 presente con il premier, il Conte 1, ai due eventi di Pechino per il lancio e il consolidamento dell’iniziativa hanno destato perplessità se non vera e propria irritazione a Washington come a Parigi e a Berlino. Così come ancora si attende un chiarimento da parte del presidente del Consiglio, della missione segreta del ministro della Giustizia americano in Italia per incontrare rappresentanti della nostra intelligence. Secondo i giornali americani Trump manderebbe un suo fedelissimo, Barr, in giro per il mondo a trovare prove che dimostrino che l’Fbi ha torto e che i russi non hanno aiutato il presidente americano ad essere eletto nel 2016. Richiesta di notizie che, secondo il Washington Post, Trump ha avanzato non solo al governo ucraino e a quello australiano, ma anche a quello italiano, prima al Conte 1 e poi al Conte 2. Trovo inconcepibile che il ministro della Giustizia degli Stati Uniti si rechi a Roma in incognito e chieda che i servizi italiani siano ascoltati nell’ambasciata americana. Insomma la realtà delle relazioni transatlantiche è quanto mai complessa.

Mi auguro che il presidente Mattarella, nel confermare l’alleanza dell’Italia con gli Usa come la scelta di fondo della politica estera italiana, abbia fatto presente a Donald Trump le preoccupazioni italiane per un indebolimento dello spirito cooperativo tra Stati Uniti ed Europa, abbia trovato parole severe sul vile abbandono dei curdi da parte degli Usa, curdi che hanno combattuto coraggiosamente l’Isis. Mattarella lo avrà fatto ricordando che, al di là delle ambiguità che hanno segnato la politica estera italiana nell’anno di governo del primo Conte, l’Italia è consapevole della necessità, in un mondo difficile come quello in cui ci tocca vivere, dell’alleanza e cooperazione tra i Paesi democratici e liberali.