Matteo Cagnoni, il dermatologo dei vip di Ravenna, lo scorso 26 settembre fu condannato all’ergastolo anche in Appello per l’omicidio della moglie Giulia Ballestri. La notizia del giorno è relativa al deposito delle motivazioni da parte della Corte d’Assise d’Appello di Bologna relative alla sentenza che ha confermato la condanna già inflitta in primo grado a carico del medico. Motivazioni contenute in 180 pagine nelle quali i giudici motivano la loro decisione lasciando emergere inquietanti particolari rispetto al macabro e brutale omicidio. Era il 16 settembre di tre anni fa quando Giulia Ballestri fu attirata in una vera e propria trappola messa in atto dal marito Matteo Cagnoni, dal quale stava per separarsi. Dopo essersi recata con l’inganno in una villa di famiglia in disuso a Ravenna, fu massacrata a colpi di bastonate e pestata a morte. Morì lentamente, di stenti e soffocata dal suo stesso sangue, sotto gli occhi di Cagnoni che non fece nulla per salvarle la vita ma anzi continuò ad umiliarla ulteriormente denudandola. Secondo quanto scritto dai giudici, trattandosi di un killer non professionista Cagnoni realizzò tutta una serie di “passi falsi” che alla fine lo tradirono, a partire dalle immagini immortalate dalle telecamere poste davanti al luogo del delitto, passando per le due impronte palmari sul sangue della vittima che per i giudici furono la “firma” dell’omicidio.



MATTEO CAGNONI, MOTIVAZIONI ERGASTOLO: COSA SCRIVONO I GIUDICI

Secondo quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna a carico di Matteo Cagnoni, il quadro indiziario a suo carico sarebbe così grave e univoco “che non possono sussistere di fatto reali dubbi sulla prova piena della responsabilità dell’imputato”. A causa della sua ossessione e della gelosia, l’uomo aveva concesso alla moglie la separazione ma non in maniera pacifica. “Non accetta, questo è il punto centrale a parere di questa Corte, la perdita del potere su di lei. Lo stereotipo culturale alla base della cosiddetta violenza di genere (…) appare permeare il sentire dell’imputato. (…) A più di tre anni di distanza dall’omicidio l’imputato non è riuscito a proferire una sola parola di pentimento. (…) Tale violenza di genere, sia di carattere fisico che psicologico, deve essere considerata come una forma di violenza specifica, che colpisce la donna nella sua identità di genere: cioè proprio in quanto donna e all’interno di un discorso di progressiva sopraffazione instaurato nel contesto di una relazione di prossimità con l’autore, uomo, del reato”, riporta Urbanpost rispetto a quanto scritto dai giudici. Cagnoni inoltre non si sarebbe mai pentito e ciò farebbe dell’imputato un uomo incapace di “revisione critica del proprio crudele comportamento”. Anche per questo non furono riconosciute le attenuanti generiche ma al contrario le aggravanti della crudeltà e della premeditazione. I giudici inoltre parlano di “raccapricciante cinismo e particolare crudeltà” nonché “mancanza di pietas è anche la spoliazione della vittima, compiuta all’evidente e unico fine di infliggerle un’ultima umiliazione e posta in essere quando la donna era ancora viva”.

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