Dalla latitanza trentennale alla morte dopo una lunga malattia: Matteo Messina Denaro è al centro del documentario “La cattura” trasmesso da Nove in prima serata. Da quando è stato arrestato, ci sono ancora tante domande senza risposta, nonostante perquisizioni, covi scoperti e complici arrestati. Lo stesso boss mafioso aveva dichiarato che, se non fosse stato per il tumore al colon, non sarebbe mai stato trovato. Infatti, la malattia lo aveva costretto a correre dei rischi. Legato a Cosa nostra, di cui è stato uno dei boss più importanti, Matteo Messina Denaro era molto vicino a Totò Riina ed è stato per tre decenni nella lista dei 10 latitanti più ricercati al mondo.
I CRIMINI DI MATTEO MESSINA DENARO E LA LATITANZA
Sin da giovane iniziò a delinquere, poi prese in mano le redini della cosca di Castelvetrano. Fu tra i mafiosi mandati a Roma per seguire Maurizio Costanzo e uccidere Giovanni Falcone e Claudio Martelli, salvo poi venire richiamato da Riina perché l’attentato a Falcone doveva essere eseguito in un altro modo. Oltre a prendere parte alla faida di Alcamo, fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo e sua moglie incinta.
Sono tanti i crimini di cui si è macchiato Mattea Messina Denaro, anche attentati dinamitardi. La sua latitanza cominciò nel ’93, dopo che venne emesso un mandato di cattura per quattro omicidi risalenti all’89. Il suo ruolo in Cosa nostra emerse chiaramente con le rivelazioni di Scavuzzo, mentre nel 2000 arrivò la condanna all’ergastolo.
Matteo Messina Denaro fu tra coloro che organizzarono il sequestro del bambino Giuseppe Di Matteo per spingere il padre a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci, ma organizzò anche l’omicidio del poliziotto Giuseppe Montalto perché si era rifiutato di fare dei favori in carcere. Cinque anni dopo l’inizio della latitanza, fu condannato all’ergastolo con gli altri vertici di Cosa nostra.
L’ARRESTO DOPO 30 ANNI DI LATITANZA
La latitanza di Matteo Messina Denaro è terminata il 16 gennaio 2024, quando i carabinieri del Ros, aiutati dal GIS, lo hanno arrestato in una stradina vicino a una clinica privata di Palermo, dove il boss si era presentato sotto falso nome per sottoporsi a un ciclo di chemioterapia. Comunque, non ha opposto resistenza, anzi ha confermato di essere il boss mafioso. Trasferito a Pescara, per essere condotto al carcere dell’Aquila, è stato sottoposto al regime del 41bis.
Una scelta non casuale quella del carcere abruzzese, in quanto lì c’è una sala di medicina oncologica, quindi aveva la possibilità di curarsi. Nell’interrogatorio in carcere e col gip, ha ammesso il sequestro Di Matteo, ma nega di aver ordinato l’omicidio, attribuendolo a Giovanni Brusca.