CHI È IL BOSS MATTEO MESSINA DENARO, ARRESTATO OGGI A PALERMO DOPO 30 ANNI DI LATITANZA

Con l’arresto di Matteo Messina Denaro a Palermo si chiude una lunghissima e tragica stagione della storia d’Italia: l’ultimo “capo dei capi” braccato dopo 30 anni di latitanza “chiude” la lotta dello Stato contro la Cosa Nostra responsabili delle stragi degli anni Ottanta e Novanta. Ma per capire come potrà essere il nuovo rapporto di conflitto che inevitabilmente permane ancora tra la Mafia e lo Stato, occorre prima capire bene chi è e cosa ha fatto Matteo Messina Denaro, un modo per comprendere come sia stato possibile una lunghissima e asfissiante morsa della criminalità organizzata su un Paese (e non solo). Messina Denaro – nato a Castelvetrano (Trapani) il 26 aprile 1962 – è riuscito a nascondersi per trent’anni sfuggendo a infinite operazioni dell’Antimafia e della forze dell’ordine in ogni parte del mondo.



Viene però braccato a Palermo, mentre era in “day hospital” in una clinica privata nel quartiere “Maddalena”: era uno dei latitanti, se non il principale capomafia sfuggito alla giustizia in tutto il mondo. La cosiddetta “primula rossa” di Cosa Nostra (la mafia siciliana, ndr), detto “U siccu” e “Diabolik” è “figlio d’arte: Matteo Messina Denaro è figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Il suo padrino di cresima è Antonino Marotta, ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano: già a 20 anni, raccontano le poche informazioni emerse fino ad oggi sul conto del superlatitante, era considerato il “pupillo” di Riina iniziando così la scalata dentro Cosa Nostra nel 1989. Quello è l’anno infatti dove Matteo Messina Denaro viene denunciato per la prima volta con l’accusa di associazione mafiosa per aver partecipato alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Il primo vero omicidio “ufficiale”, spiega “Il Messaggero”, è quello di Nicola Consales, proprietario di albergo a Triscina: «si è lamentato con una sua impiegata, all’epoca amante di Messina Denaro, di “quei mafiosetti sempre tra i piedi”».



MATTEO MESSINA DENARO, PUPILLO DI RIINA E CAPO DEI CAPI

Il primo a denunciare Matteo Messina Denaro per mafia è il giudice Paolo Borsellino, e il primo commissario a indagare su di lui è Rino Germanà. Il primo verrà ucciso nel 1992 nella purtroppo famosa “Strage di Via D’Amelio” con, tra i mandanti, proprio Messina Denaro; il poliziotto invece tenteranno di ucciderlo sempre in quella dannata stagione delle stragi, ma riuscì miracolosamente a scampare all’attentato a Mazara del Vallo. Nella lunghissima “carriera” da super latitante e mafioso, Matteo Messina Denaro è stato ricostruito facente parte del commando di Brancaccio e Trapani che tentarono di uccidere Maurizio Costanzo: ci riuscirono invece con i giudici Falcone e Borsellino, tentarono ancora con il Ministro Claudio Martelli. Nel 1993 il futuro capomafia – lo diverrà definitivamente dopo l’arresto il 15 gennaio 1993 di Totò Riina – è uno dei mandanti del sequestro del dodicenne Giuseppe Di Matteo: si cerò di impedire che il padre, Santino Di Matteo, ex-mafioso, collabori con gli inquirenti che stanno indagando sulla strage di Capaci. Il sequestro durò 779 giorni al termine del quale il piccolo Di Matteo viene strangolato e sciolto nell’acido. «Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva: Papà mio, amore mio»: lo ha raccontato anni dopo il pentito Gaspare Spatuzza, spiegando che gli uomini di Messina Denaro si travestirono da poliziotti della Dia ingannando il bimbo e illudendolo di volerlo liberare.



Non è semplice capire realmente chi è e chi era Matteo Messina Denaro in quanto poi dal 1993 è cominciata la superlatitanza per il neo capo dei capi di Cosa Nostra: finita però la stagione delle stragi, la “guida” di Messina Denaro si concentrò su strutture apicali dove la sua famiglia e la sua “squadra” agivano in ambiti separati per non essere catturati. Non solo, concentrò la forza della Mafia negli investimenti economici tra appalti, riciclaggio, droga e “potere”: una vita più “silenziosa”, lontano dalle grandi stragi, per poter meglio agire nel malaffare e nella criminalità più efferata. L’ultima volta che il boss di Cosa nostra viene visto libero, è nell’agosto del 1993: condannato mandante delle stragi del 1992 e del 1993, Messina Denaro (assieme a Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano), si fa vedere a Forte dei Marmi. Da quel momento in poi sparirà del tutto fino al 16 gennaio 2023: «appassionato di puzzle e di dolci, alcuni raccontano che è stato sottoposto a un intervento chirurgia plastica al volto, per non essere riconoscibile, altri dicono che si sia fatto rimodellare anche i polpastrelli, per cancellare le impronte digitali», raccontano i “collaboratori” arrestati negli anni, tra cui anche la sorella Patrizia e il fratello Salvatore. Nel 1995 si seppe che Messina Denaro aveva una figlia avuta con una precedente relazione con Francesca Alagna, originaria di Castelvetrano: nel 2000 la polizia arrestò invece la storica compagna di Matteo Messina Denaro, ovvero Maria Mesi. Trovò anche alcune lettere d’amore che aveva scambiato con il superboss latitante: per queste ragioni l’anno successivo venne condannata a tre anni di carcere per favoreggiamento insieme al fratello Francesco. Dove sia rimasto latitante per 30 anni ancora non è dato saperlo: se sempre in Sicilia, se in diverse parti del mondo dove si “vocifera” senza mai avere una vera prova. Sta di fatto che ora, dopo l’arresto, il “capo dei capi” è assicurato alla garanzia dello Stato: «il boss mafioso Messina Denaro è in trasferimento in una località sicura», lo afferma il generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros.