Matteo Valdambrini, il “Diavolo di Prato”, è stato condannato a 10 anni e 4 mesi di reclusione dalla Corte d’assise d’Appello di Firenze per riduzione in schiavitù, violenza sessuale e pedopornografia. Il ventiseienne, come riportato dal Corriere della Sera, era stato arrestato nel 2020 per essere a capo di una setta che manipolava e abusava di alcuni ragazzi fragili, che aveva adescato approfittando delle loro debolezze.
Alle vittime, secondo quanto stabilito nel corso delle indagini, veniva promesso di “sbloccare le loro potenzialità e risolvere i loro problemi di isolamento, solitudine e depressione”. In realtà, gli adepti venivano raggirati e costretti a subire rapporti sessuali, talvolta anche ripresi con una videocamera. Le violenze sarebbero state tredici, ma in primo grado ne erano state appurate soltanto cinque. È per questo motivo che allora la condanna con rito abbreviato era stata di 6 anni. In Appello tuttavia la pena è stata aumentata, discostandosi di poco dalla richiesta di 12 anni di reclusione che era stata avanzata dalla pg Angela Pietroiusti.
Matteo Valdambrini, il “Diavolo di Prato” condannato a 10 anni: le testimonianze delle vittime
Le vittime di Matteo Valdambrini, il “Diavolo di Prato”, erano presenti in aula al momento della lettura della sentenza, a differenza dell’imputato. I ragazzi in diverse occasioni, durante le udienze, hanno raccontato ciò che hanno subito dopo essere stati manipolati dalla setta. “Diceva di essere diverse divinità, di essere dotato di poteri sovrannaturali. Ad esempio, di sapere fermare il tempo, di potere resuscitare e uccidere le persone, anche di prevedere il futuro e viaggiare in altri universi paralleli”.
Anche i malcapitati adepti si erano convinti di avere delle potenzialità nascoste e di poterle sbloccare per portare avanti la missione di salvare il mondo. È così che venivano portati in luoghi abbandonati come l’ex manicomio di Villa Sbertoli a Pistoia e l’ex ospedale psichiatrico Banti, a Prato, per trovare la loro vera identità. Lì, invece, avvenivano le violenze sessuali. Il tutto fino a quando, nel giugno 2020, uno di loro non ha avuto il coraggio di denunciare la vicenda all’Onap, Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici.