Un dossier dietro il delitto Matteotti. Nei giorni in cui tiene il caso dossieraggio, torna d’attualità quello di Amerigo Dumini, il capo della banda che rapì il socialista e lo uccise poco dopo. Era a capo di un reparto della cosiddetta Ceka, una struttura parallela, non ufficiale, a cui veniva affidato il lavoro “sporco”. Era chiamata anche la “banda del Viminale“. Riceveva ordini dal capo dell’ufficio stampa di Benito Mussolini, e dal segretario amministrativo del Partito fascista, Giovanni Marinelli, quindi da chi gestiva propaganda e soldi. Dumini, che era abile nel raccogliere e diffondere informazioni sugli antifascisti da eliminare, in Italia e all’estero, fece intendere di avere dossier che potevano nuocere anche al committente, Mussolini. Questo gli permise di uscire dal carcere dopo il delitto. Nel 1933 stilò un memoriale che fece depositare presso uno studio legale in Texas: era la sua assicurazione sulla vita, perché l’accordo prevedeva che venisse pubblicato se gli fosse successo qualcosa.
In questo documento, stando a quanto ricostruito dal Foglio, non c’era solo la confessione sui mandanti del delitto Matteotti, ma anche una rivelazione sul movente. Fino ad allora veniva indicato come punizione del rivale politico. Venne poi fuori «la minacciosa presenza di un dossier sul petrolio di cui si temeva la presentazione in Parlamento». In altre parole, la necessità di uccidere Matteotti sarebbe nata dalla convinzione che questi fosse venuto in possesso di «prove di certi imbrogli in cui si mescolavano in una promiscuità maleodorante e abbastanza lacrimevole un certo affare di petrolio, di borsa e di cambi in cui sembrava essere implicato perfino il fratello del capo del governo».
LA STORIA DELLE TANGENTI DIETRO IL DELITTO MATTEOTTI
Dumini probabilmente non era al corrente dei dettagli dell’affare, ma era in grado di captare le voci che circolavano negli ambienti vicini a Mussolini, soprattutto nelle redazioni dei giornali fascisti. La vicenda riguarda le tangenti che sarebbero passate dalla Sinclair Oil americana ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, e alle casse del Pnf e di altri gerarchi, come ringraziamento per la concessione di diritti di esplorazione in Italia e nelle colonie italiane. Lo storico Mauro Canali, come ricordato dal Foglio, è l’autore dell’analisi più dettagliata su questo caso. Dunque, Matteotti ricevette dai laburisti britannici, nel corso del viaggio compiuto in Inghilterra prima del suo omicidio, una importante documentazione sulle «malversazioni petrolifere, sulla svendita dell’Italia alla compagnia americana da parte dei “patrioti” fascisti al governo». L’azienda agiva da paravento per un colosso americano, Standard Oil. Quindi, la Anglo-Persian Oil temeva la concorrenza americana. Questo il motivo per il quale i documenti erano finiti al socialista. L’auspicio era far fallire l’operazione. Infatti, dopo il delitto Matteotti, Mussolini avrebbe deciso di metterci una pietra sopra.
Assiduo frequentatore dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, l’assassino riceveva pagamenti dal Viminale e fu forse lui stesso a far avere loro, il giorno dopo il delitto, molto prima che venisse ritrovato il cadavere e che Mussolini ammettesse di saperne qualcosa, il passaporto e altri documenti che erano nella borsa sottratta alla vittima. Tra questi, forse, anche la bozza del discorso a cui Matteotti stava lavorando in quei giorni. Dumini negò sempre che nella borsa ci fosse anche del materiale sul dossier sulle tangenti petrolifere, d’altra parte cambiava spesso versione, che erano avvertimenti ai mandanti per far capire che se si sarebbero dimenticati di lui, allora avrebbe parlato.