Giugno che sei maturità dell’anno, anziché portarci il tuo tesoro ci rifili ancora quella che chiaman la maturità. Che non è più quella, ma solo una cerimonia stantia… uffa tutti gli anni gli stessi articoli, compresi i miei?

E tuttavia quest’anno ci sono delle novità nella Maturità 2019, l’ultima è il colloquio con la faccenda delle tre buste – ciao, Mike, guardaci da lassù.



Una faccenda interessante. L’abbiamo provata pochi giorni fa con gli studenti delle mie due quinte, di un corso che dovrebbe sposare creatività e competenza tecnica, l’indirizzo tessile di “sistema moda”. Sembrerebbe fatta apposta per loro.

Ma non me la sento di parlare di quel che ho visto, nei pro e nei contro: perché quest’anno alla Maturità sono nientemeno che presidente di commissione, “delocalizzato” in una città che amo moltissimo e non riesco quasi mai a visitare. Così, pensando a cosa scrivere per la mia amica Ilaria che lascio qui, e a quanti rullini di pellicola porterò là, devo essermi accasciato mollemente sul mio desco, un po’ come quel personaggio di Goya, e ho iniziato a sognare delle buste.



La prima contiene una frase strana, sembra il titolo di qualcosa: “La vita quotidiana. I conigli sotto la luna di Dino Buzzati. La turpe voglia di Bach di Francesco Guccini”. E che caspita vorrà dire?

Intanto, i due autori. Che la vita quotidiana c’entri con entrambi, d’accordo e pure troppo, ma cosa c’entrano loro con gli esami?

Soprattutto Buzzati. Tra i più grandi scrittori mondiali. Tra i pittori più suggestivi del nostro Novecento. Ha contribuito a creare e a portare a forma d’arte la graphic novel. Giornalista commediografo librettista eccetera. E poi così estraneo alle ideologie, così angelico nel maneggiare fantasie inconfessabili, angosciante se osserva una goccia d’acqua… Riassumendo: da vivo e da morto, Dino è la bestia nera sia dei critici d’arte sia di quelli letterari. L’immagine dei conigli sotto la luna è potente. Ma se mi ricordo è dispersa in poche righe di un’antologia postuma: primo, il prof non la conosce; poi potrebbe andar bene per un candidato sognatore ed ispirato, non per la media dei monocordi libreschi. Naahhh…  



E poi c’è Guccini, che forse oggi per qualcuno è un tipo con la barba bianca che vanno a intervistare. Ma la turpe voglia di Bach era in “Via Paolo Fabbri 43”, quando lui aveva poco più di trent’anni, e già era un mito e già rivoltava e schiaffeggiava chi si costruiva falsi miti e falsi eroi. Che poi, gli eroi di allora erano giovani e belli, foschi e grandiosi, mica quegli ominicchi analfabeti che fanno i truci in tv. No, ora più di allora Guccini va letto e ascoltato per quel che è, come i giganti, come Dylan: non ci puoi fare le paranoie da critici. Lui ti spara un Odysseus di settanta endecasillabi in rima alternata rotti da quinari, che ne esplorano le incarnazioni da Omero a Dante a Kavafis: chiunque altro ci provasse, ne farebbe un mattone da ammazzare un tricheco, e lui lo rende una favola onirica. No, Ilaria, lo so che il tuo prof è di quelli che ti fanno leggere e degustare il sapore dei testi, parola per parola, anziché rimestare i soliti lupini & malpeli & fanciullini, ma non tutti sono così: mi sa che questa busta non la troverai.

Ne appare un’altra, solo due righe: “Quell’acqua era mostruosa: 1,300 centipoise a 20°C, il 30 per cento di più del valore normale”.

La so! Primo Levi, ne ricorre il centenario. Insieme a quello della Iupac (la conoscenza ha bisogno di regole ed esattezza). E il 150° del sistema periodico (l’irregolare ordine dell’universo), da cui lui ha tratto il più bello fra i libri di ispirazione scientifica. Ammesso che non esca in prima prova, non ci sarebbe niente di meglio per fare collegamenti davvero interdisciplinari, lui diceva più o meno di aver fatto il Classico per cercare le domande e poi Chimica per trovare le risposte. E in mezzo a questo percorso ha visto lo sterminio e la tregua.

Però – aggiungerebbe – bisogna diffidare di ciò che è simile ma non uguale. Quella frase viene da Ottima è l’acqua, uno dei suoi migliori racconti di fantascienza; immaginava un’apocalisse planetaria complementare al Medioevo Prossimo Venturo del suo amico Roberto Vacca. Già, mi ricordo: il terrore della catastrofe ecologica di fine anni 60: noi ragazzi di allora sapevamo che entro pochissimi anni, se non si fosse cambiato tutto, gli scienziati dicevano che sicuramente…

Ahi. Qui rischiamo la catastrofe, ma di altro genere. Perché mi sembra che ultimamente si sia risentito qualcosa di simile, ma stavolta non da parte di chi pensa che per cambiare il mondo si debba studiare il triplo di chimica e il doppio di tecnologia (e di linguistica e di storia e di matematica). Semmai si fanno le bigiate collettive e colorate, ma l’umile e critica analisi dei dati, il dubbio, la confutazione – le basi della scienza – son sempre meno di moda.

Sai cosa ti dico, Ilaria? Anche questa non c’è: non rischiamo di far volare i piatti partendo proprio da Levi.

E nella terza busta? Eccolo: il disegno di Goya, quei mostriciattoli scarabocchiati. Però quello me lo ricordo bene: come tutti i miei amici del 60, ce lo siamo trovati tra i temi di italiano del ’79, nel cuore degli anni di piombo. Non c’ero cascato, quella volta, non m’ero messo a fare delle sbrodolate senza senso: tra l’altro, non sapevo ancora che quel sueño in spagnolo è tanto sonno quanto sogno, e quindi è un ibis redibis pronto per gli specchi di Borges.

Ok, Ilaria, non sei d’accordo. Tu l’avevi approfondita, quell’incisione inquietante, hai letto un po’ dei fiumi di inchiostro che l’hanno alluvionata. Ottimo, non ti devi vergognare se ti piace studiare. E ti prepari un tono serioso: anche molti commissari e presidenti sono dei gran burloni ma fanno i seriosi perché il gioco vuole così. Ma non vedo perché farti venir l’ansia di ingolfare, in una decina di minuti, tutto e il contrario di tutto sul senso dell’esistenza, e non funziona rispondere “42”. Credimi, se hai avuto la sfiga di trovare questa busta, stai sicura che Goya non ce l’ho messo io. Dobbiamo accertare se hai costruito le tue competenze senza gettar via l’elasticità e la fantasia; non se hai studiato la Treccani a memoria per parlare di cose troppo grandi e complesse.

E poi, meglio non scordarsi che “A vent’anni è tutto ancora intero/ perché a vent’anni è tutto chi lo sa/ a vent’anni si è stupidi davvero/ quante balle si ha in testa a quell’età”. Lascia perdere gli effetti speciali, cerca di essere te stessa nello splendore dei tuoi diciannove.

Perché il segreto che volevo raccontarti è che quella frase sulla vita quotidiana era nientemeno che il titolo della mia tesina di Maturità, quarant’anni fa. Per fortuna il commissario d’italiano era una di quelle sdrucite macchiette che vediamo nei film: manco si era sognato di leggerla per mettere alla prova il dotto e baldanzoso candidato, gli aveva chiesto le solite banalità. Se no, col cavolo che mi davano il massimo dei voti. Take it easy, Ilaria, che busta scegli?