Mentre in tutte le scuole superiori si svolgono gli scrutini di fine anno, mentre la maggioranza degli studenti si gode un riposo che ha l’incantesimo della durata infinita (così sembrano le settimane che separano giugno da settembre), mentre il personale scolastico mette a lucido le aule che ospiteranno le commissioni per l’esame di Stato, i maturandi non possono che attendere, con un po’ di timore ma forse anche con curiosità, l’alba di mercoledì 19, quando il plico telematico verrà aperto dall’ufficiale incaricato e il testo della prima prova sarà davanti a loro. Ma in genere il timore vero negli scritti è tutto per la seconda prova: la trepidazione dell’attesa per questa seconda prova probabilmente eclisserà lo smarrimento di tanti studenti rispetto al pensiero della prova orale con quell’inizio da telequiz di tempi passati (Quale busta vuole? La uno la due o la tre? è il primo aforisma – prima ancora del celeberrimo Allegria! – che appare cercando in internet gli aforismi di Mike Bongiorno).
Al liceo classico le novità che riguardano lo svolgimento della seconda prova non sono poche: cambia radicalmente il modo con cui essa è concepita. Fino ad ora infatti il candidato doveva dare un saggio di buona traduzione, nella migliore lingua italiana (naturalmente la commissione si accontentava per lo più di un testo che non contenesse svarioni eccessivi, senza andare per il sottile rispetto all’eleganza o almeno all’uso di un linguaggio lineare). La proposta del nuovo esame di Stato invece chiede allo studente la competenza (è questa la nuova parola d’ordine!) del capire un testo nel suo significato e del saperlo confrontare con testi analoghi.
A tal fine, infatti, il testo proposto alla traduzione (quest’anno dal latino) è accompagnato da una contestualizzazione, vale a dire da un breve ragguaglio sull’autore e sull’opera da cui è tratto il passo e da una porzione più ampia di testo, presentata in italiano, entro cui si colloca il testo da tradurre. Viene proposto inoltre un passo, sullo stesso argomento del passo latino, di un autore greco, sia in originale sia in italiano. Lo studente dovrà operare un confronto tra i due testi, guidato da tre domande (la terza in verità apre spazi ulteriori, in quanto chiede di citare altre opere che abbiano affinità con il tema proposto). Il confronto, come dovrebbe essere ovvio ma forse non lo è, deve essere operato sui testi in originale.
Il ministero ha proposto, il 28 febbraio e il 2 aprile, due simulazioni nazionali. La prima, in verità, è sembrata a molti docenti non molto adeguata, forse preparata con una certa fretta (traduzione da Tacito – autore non semplice, che ben pochi avevano già accostato a fine febbraio – con contestualizzazione poco curata, e confronto con Cassio Dione, attraverso domande non del tutto precise), mentre la simulazione successiva, non banale, è stata forse preparata con più accuratezza (traduzione di un testo di Seneca piuttosto impegnativo nel contenuto, confronto con Plutarco: le domande si sono rivelate però piuttosto generiche). Le simulazioni hanno messo in evidenza, almeno in base a quanto ho potuto personalmente verificare, la grande difficoltà per lo studente nel rimanere attento e attivo per sei ore (questa è la durata massima della prova): alcuni hanno tralasciato parole o frasi, altri hanno letto superficialmente le domande finali o i testi di contestualizzazione; solo pochi hanno saputo mettere a frutto tutto il tempo a disposizione.
La correzione degli elaborati avverrà, diversamente da come ci si era mossi fino all’anno scorso (ogni commissione, durante la riunione preliminare stabiliva i criteri di correzione secondo griglie che effettivamente non variavano molto tra loro), sulla base di una griglia ministeriale: il ministero ha formulato i cosiddetti indicatori (che sono 5: comprensione del significato globale e puntuale del testo, individuazione delle strutture morfosintattiche, comprensione del lessico specifico, ricodificazione e resa nella lingua d’arrivo, pertinenza delle risposte alle domande in apparato), per ogni indicatore è previsto un punteggio (da 3 a 6), tale per cui la somma del massimo dei singoli punteggi sia 20, che è appunto il punteggio massimo assegnabile alla prova.
Alla commissione esaminatrice spetterà il compito di declinare, per ogni singolo indicatore, i criteri per l’assegnazione, all’interno di ogni descrittore, del punteggio. Appare subito evidente che gli indicatori sono strettamente collegati: la comprensione puntuale del testo non può avvenire senza una chiara individuazione delle strutture morfosintattiche né senza la comprensione del lessico specifico; men che meno si potrà fornire una buona resa italiana senza una comprensione del testo. Le tre domande attraverso cui lo studente dovrà operare il confronto tra i testi daranno accesso a un massimo di 4 punti, sempre comunque utili per chi non si sentisse sicuro delle sue capacità traduttive.
Gli indicatori ministeriali sono stati formulati sulla base degli obiettivi della prova (dichiarati dal ministero stesso, nel Quadro di riferimento per la redazione e lo svolgimento della seconda prova scritta dell’esame di Stato); tuttavia qualche perplessità sullo scopo di questo cambiamento rimane. La prospettiva è interessante, porta a superare quell’incongruente divisione nelle discipline classiche tra scritto e orale come due momenti sostanzialmente non comunicanti; è un po’ strano che per modificare la prospettiva si parta dal punto finale, cioè l’esame, e lo si faccia in tutta fretta, annunciando ad anno scolastico già iniziato modifiche così radicali.
Sorge il sospetto che la prospettiva ultima sia sì quella di superare la divisione tra scritto e orale, ma a tutto svantaggio dello scritto, nella convinzione non espressa che il lavoro di traduzione sia improponibile nel ventunesimo secolo. In fondo, quindi, non una comprensione del testo ma la capacità di smontare e rimontare: la differenza è abissale, perché per comprendere occorre un’educazione, per smontare e rimontare basta l’addestramento. Ma a questo punto il discorso si allungherebbe molto…