Si avvicina l’esame di Stato, e nell’imminenza di questo “rito di passaggio” che, a quanto pare, è inabrogabile e irrinunciabile, si delineano vari problemi di ordine pratico. Come è noto, saltate le prove scritte e ridotto l’esame, a causa del Covid-19, a un colloquio orale, è saltata anche la divisione ormai canonica fra commissari interni ed esterni: gli studenti saranno esaminati dai loro professori (quindi, tutti commissari interni). Il che, del resto, ha anche senso, dato che l’esame non la prova di abilità di una commissione di cecchini che sono tanto più bravi quanto più riescono a impallinare i candidati, mettendone a nudo debolezze e lacune e facendoli cadere; anzi! Il commissario non è il “giustiziere della notte” che viene, punisce e se ne va, ma dovrebbe agire in un’ottica di valorizzazione dell’esistente, che dovrebbe coincidere con quanto copiosamente attestato dal percorso curricolare dello studente: non a caso, al voto finale ha sempre contribuito largamente il credito scolastico pregresso, dato dalla media dei voti riportati nel triennio.



E dunque, perché non mantenere la presenza dei commissari interni anche nei prossimi esami di Stato? Chi meglio di un docente che conosce un ragazzo da tutto l’anno, quando non da tre, o da cinque anni, può valutarlo serenamente e con cognizione di causa?

Si apre però la spinosa questione dei presidenti di commissione. In altri anni, l’incarico di presidente, cui si può accedere solo dopo un certo numero di anni di ruolo o dalla posizione di dirigente scolastico, è sempre stato molto ambito, anche grazie a un discreto compenso. Il quale, di certo, non compensa (scusate il gioco di parole) tutti gli adempimenti e le responsabilità di natura burocratica che negli anni hanno appesantito l’incarico, e nemmeno le difficoltà relazionali, a volte anche più problematiche, visto che un buon presidente è come un direttore d’orchestra, che riesce ad armonizzare bene strumenti diversi (a volte in contrasto fra loro).



Certo, però, dati gli stipendi medi fra i docenti, come è noto non astronomici, il ruolo di presidente poteva risultare interessante. Tuttavia quest’anno, dato che l’esame in presenza, pur con tutte le cautele che verranno messe in atto, un poco disincentiva l’entusiasmo con cui ci si proponeva per l’incarico, i presidenti scarseggiano.

E allora? Precettarli non si può. Ricordo, inoltre, che, date le caratteristiche che devono avere i presidenti, essi sono mediamente over 55 quando non over 60, ovvero appartengono alle categorie più esposte al rischio.

Per cui, in mancanza di presidenti, potrebbero essere i dirigenti delle singole scuole a farne le funzioni, dividendosi anche fra sei o sette commissioni; ma, per dirla con un motto caro a Peter Parker, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.



Inoltre, faccio notare en passant una piccola aporia: per tre mesi abbiamo fatto lezione on line, abbiamo interrogato e verificato on line, le università hanno predisposto e predisporranno per l’estate sessioni d’esame on line, abbiamo anche assistito alle lauree on line… perché mai non si può organizzare un colloquio dell’esame di Stato on line? Perché dobbiamo proprio andare a scuola per svolgerlo in presenza? Per preservare il valore – psicologico più che reale – dell’esame come “rito di passaggio”? Mistero.

Teniamo anche conto che, benché l’epidemia sia in fase calante, anzi, forse proprio per questo, sarebbe meglio lasciarla spegnere, smorzando, dove possibile, ogni rischio, anche minimo. Infatti, non solo gli studenti potrebbero, per quanto ne sappiamo, essere positivi e asintomatici; essere docenti non mette al riparo dal Covid. Ci potrebbero essere anche professori con il tampone positivo: e in questo caso, come si può ovviare al problema?

A mio avviso, la soluzione migliore sarebbe quella del colloquio telematico. E, per l’anno prossimo, complice la situazione di emergenza che ci ha obbligati a ripensare tutto, dovremmo forse ripensare davvero anche il feticcio dell’esame di Stato: è davvero utile una procedura così complessa che con due scritti e un orale tiene in scacco per quasi un mese 500mila studenti e migliaia di docenti per certificare poi quello che già si sa, visto che la stragrande maggioranza degli studenti si diploma con un voto corrispondente più o meno alla media dei voti del triennio?

Oppure, non sarebbe meglio investire tempo, energie e risorse, anche economiche, per altre esigenze delle nostre scuole (adeguamento delle strutture, formazione dei docenti, reclutamento dei professori, progetti contro la disperazione scolastica, innovazione tecnologica, etc.) e pensare a una valutazione finale del quinto anno che sostituisca questo esame ormai ipertrofico? Meditate, gente, meditate.