Giorno di prima prova agli esami di maturità. Tocca oggi ad italiano, domani alle materie di indirizzo. E’ un esame, quest’anno, che, dopo due anni, cerca di tornare alla maturità, anche se lentamente, perché comunque tutti i commissari d’esame, escluso il presidente, sono docenti interni, la seconda prova non è uguale per tutti, come per italiano, perché scelta dai propri docenti, e c’è stato un ritocco ai punteggi.
La cosa buona, comunque, è che siano stati ripristinati gli scritti, nonostante le polemiche, del gennaio scorso, da parte delle associazioni degli studenti. Forse non del tutto consapevoli dei diversi codici tra scritto e orale, e dell’importanza di coltivare bene, nella società della conoscenza, come viene oggi definita la nostra, queste due modalità di costruzione del pensiero pensato.
Lo sappiamo tutti. Non sono stati due anni facili quelli del Covid e della Dad. Ma questo è il tempo che siamo chiamati a vivere. Sono degli esami, comunque, più semplici rispetto al pre-Covid, perché questi nostri ragazzi sono, lo ripeto, accompagnati dai propri docenti (anche se la scelta di confermare i docenti interni come commissari d’esame non è la migliore). Il motivo è semplice: gli studenti devono comprendere che nella vita saranno chiamati ad essere valutati da persone che non è detto che conoscano, nei più vari contesti formativi e professionali. Anche questa consapevolezza è un allenarsi a crescere sul piano personale.
Come un allenamento alla crescita, quella che un tempo portava a parlare appunto di “maturità”, riguarda la differenza tra la promozione garantita alla quasi totalità degli studenti, e le constatazioni, nei vari concorsi, sulle criticità della preparazione di base dei candidati. Cioè non basta un voto, se poi la sostanza della preparazione è quella che è. Pensiamo alla padronanza della lingua italiana, oggetto della prova di stamattina, alla capacità di analisi e di sintesi, alla sensibilità e disponibilità ad una rielaborazione critica di ciò che si studia, si apprende, cioè ad una comprensione che non sia solo passiva ricezione di un messaggio e un suo utilizzo senza un proprio pensiero pensante in azione. Del resto, non ci possono essere creatività ed innovazione senza un emozionale pensiero pensante. Fuori dai luoghi comuni.
Il sistema scolastico ha scelto dunque, anche quest’anno, di non penalizzare gli studenti, ma le criticità dovranno essere risolte e toccherà alla responsabilità di ciascuno, in primis degli stessi studenti, nel seguito dei loro studi. E poi alle scuole, ai dipartimenti disciplinari nei vari indirizzi di studio. A tutti i docenti per tutte le materie, perché lo sfondo culturale, con l’educazione a un pensiero pensante, non è rivolto alle solite materie umanistiche, ma a tutte le discipline e a tutti i docenti, ognuno per la propria parte.
Che le scuole ritornino, dunque, a ragionare sugli aspetti di sostanza, e i presidi si prendano la libertà di lasciare per qualche attimo gli aspetti burocratici, gestionali, organizzativi, per ritornare a fare “il preside”, cioè a presiedere i consigli di classe e i vari gruppi di lavoro, ponendo al primo posto le questioni di sostanza, cioè educativo-culturali, della formazione. Come amava ripetere don Milani, sapendo la vera posta in gioco dei suoi alunni dell’ultimo banco sociale: “ogni parola che non impari oggi, è un calcio in culo domani”.
Una scuola dei presidi e dei docenti che non sono, a volte, capaci di dire anche queste semplici verità ai propri ragazzi e alle famiglie, non è un buon messaggio a loro stessi. La promozione, dunque, con questi esami è già garantita a tutti. Ma che sia una prova seria, che dica qualcosa di importante a questi nostri giovani. E i docenti non devono ripetere, alla maturità, le stesse domande, più o meno nozionistiche, fatte durante l’anno. In poche parole, una prova o è seria, quindi orientante per le scelte di vita, oppure non vale nulla. Anzi, diventa controproducente.
Qui sta il ruolo delicato del presidente di commissione, perché deve fare in modo che questo esame sia serio, equo, fondato. E culturalmente sostanzioso.
A che serve, dunque, questo esame? Serve a far comprendere ai nostri adolescenti che si trovano di fronte al primo grande crocevia della loro vita. E le materie e gli indirizzi di studio sono gli strumenti, non il fine. Nemmeno il voto finale conta, a parte la momentanea euforia per la soddisfazione personale di una buona prestazione. In altri termini, la preparazione di base si è consolidata tanto da consentire scelte successive con adeguato ottimismo?
Agli studenti tutti suggerisco di limitare, se possibile, le opzioni sul loro futuro a due possibilità: di non pensare da subito al mondo del lavoro, ma di tenere in considerazione solo la scelta universitaria oppure uno dei percorsi degli Its, cioè degli istituti biennali post-diploma. Perché è e sarà sempre più la formazione il loro presente e futuro.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.