Ogni volta che devo pensare a delle tracce per il compito di italiano nelle mie classi mi vengono i brividi: cosa proporre a studenti che sono imbottiti di mainstream che non siano i contenuti del mainstream sui quali comunque siano in grado di dire qualcosa? Provo a calarmi nei panni di chi deve pensare alle tracce dell’esame di Stato, tarandole su un pubblico di migliaia di studenti diversi per preparazione, interessi e livelli culturali, competenze… e mi manca l’aria!
Cosa si fa solitamente nelle camere segrete ministeriali? Si va sui temi mainstream, quelli che accomunano tutti, e ci si arrabatta un po’, in modo che lo studente medio italiano riesca a trovare qualcosa su cui lavorare. Uno degli stratagemmi può essere seguire il tam tam del “tototema”, magari con un occhio al calendario di anniversari e ricorrenze (centenari vari). Come se un autore che non “ricorre” abbia da dire qualcosa di meno significativo all’umanità rispetto a quello di cui cade la ricorrenza.
Quest’anno, almeno nelle tracce della tipologia A, gli esperti che lavorano nelle segrete stanze hanno trovato il modo di spiazzare tutti. Non solo quanto ad autori prescelti (Quasimodo e Moravia, due scrittori solitamente introvabili nei programmi di quinto anno, dove nella normalità si arriva massimo a Svevo e a Montale, affrontati negli ultimissimi giorni di scuola), ma soprattutto quanto a tematiche. Da una parte Quasimodo, che ci presenta con un’ambigua ironia l’uomo Prometeo che scimmiotta (male) il proprio Creatore; dall’altra Moravia che ci mette di fronte la fatuità, la miseria morale e spirituale del mondo borghese.
E non c’era davvero bisogno di conoscere i due autori; bastava capire bene i loro testi, sentirne la o le provocazioni, guardarsi intorno, guardarsi dentro. Il prometeismo è in noi, tanto quanto la drammatica dimenticanza di qualcosa che invece i grandi, come Ungaretti, ci hanno testimoniato: siamo creature, o foglie al vento, se preferite. E, allo stesso tempo, stiamo diventando tutti quei borghesi indifferenti di cui parla Moravia e se ci crolla il misero mondo fatto di apparenze, convenzioni, lustrini, rapporti fatui e leggeri, ci crolla tutto addosso (non è capitato forse proprio questo a tanti ragazzi durante la segregazione coatta al tempo della pandemia?). E per mantenere in piedi quel tutto venderemmo anche il corpo, un organo del corpo, l’anima stessa.
Pensando al testo di Moravia mi è venuto in mente che chi ha studiato un po’ di storia dell’arte del quinto anno si sarebbe potuto prendere delle belle soddisfazioni. Sarebbe bastato leggere le tele espressioniste di Kirchner che deformano la passeggiata dei borghesi lungo il Corso, o l’Entrata di Cristo a Bruxelles di Ensor. E mettere il tutto in relazione con il messaggio effimero e anche volgare di certe star della musica o della televisione e del cinema, di certi youtubers, di molta pubblicità… Sarebbe bastato anche muoversi nel mondo in maschera di molti personaggi di Pirandello, o entrare nel mondo borghese di Svevo, dove il personaggio si ammala perché non riesce a vincere la competizione tutta orizzontale richiesta dall’ambiente.
Questo per dire che non si può continuare a restare delusi perché “questo autore non l’abbiamo fatto” o perché non ne è stato pescato uno gettonato nel “tototema”, uno di quelli che “ricorrono”. Bisognerà continuare a spiegare agli studenti, fino allo sfinimento, che quel che conta veramente è il testo, sono le parole dello scrittore e tutto ciò che si genera da quelle parole. Ma in fondo è più facile, più funzionale alla nostra fretta superficiale, quell’altro approccio, quello che basta leggere qualcosa sull’autore gettonato e me la cavo ripetendo come un pappagallo quello che ho studiato. È più facile perché per farlo basta usare solo la funzione mnemonica del cervello, spegnendo il resto.
E allora veniamo alla traccia C2, bellissima e rischiosissima allo stesso tempo. Perché un tema sembra più facile delle altre tipologie, ma in realtà è più insidioso. Il motivo sta nel fatto che sarai banale e sarai banale perché non sei abituato a fare considerazioni profonde, ad essere uomo fino in fondo, uno che riflette sulla propria vita in modo serio ed impegnato. “Giovani fortunati!” – fa dire nel 1932 Huxley ad un governatore del Mondo Nuovo nella sua distopia – “Non è stata risparmiata nessuna fatica per rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo, per preservarvi, nei limiti del possibile, dal provare qualsiasi emozione”. Tutto e subito, appunto, saltando a piè pari il disagio dell’attesa, l’emozione dell’attesa. Qualcuno, nella distopia divenuta realtà, lavora proprio per questo! E il web è il trionfo del tutto e subito, il web, il tema più ricorrente nelle tracce d’esame. Il problema è che lo studente medio non riesce ad avere uno sguardo veramente critico rispetto a quello che vive, semplicemente perché non vive davvero, sopravvive. E magari si scoccia pure, quando glielo fai notare. Ma il problema esiste e starei per dire che è il vero problema. Il merito di questa traccia d’esame è che se ne è potuto parlare.
C’è un episodio del Piccolo Principe (capitolo XXIII) che faceva proprio alla bisogna e che insegna molto. Il piccolo protagonista di Saint-Exupéry incontra un mercante che vende pillole studiate apposta per calmare la sete. “Così si risparmiano cinquantatré minuti la settimana”. “Che cosa si può fare in questi minuti?”, chiede il Piccolo Principe. “Si può fare quello che si vuole”, risponde il mercante. “Io – ribatte il bimbo – se avessi cinquantatré minuti da adoperare, camminerei pian piano verso una fontana”. Perché la fontana che ti disseta è ancora più bella se la desideri. Perché la realtà è più bella se l’attendi.
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