Quando toccò a me affrontare il tema della maturità, non esitai un momento a scegliere la traccia su Dante. Troppo astruse le altre, lontane dal mio sentire, direi quasi banali. Ma questa volta – devo ammetterlo nonostante l’esperienza che mi porto appresso – sarei stato in seria difficoltà. Perché, a differenza di tanti argomenti complicati più che complessi, focalizzati a volte su temi e autori di scarso appeal nel mondo giovanile che abbiamo dovuto subire negli anni passati, le tracce dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di studi (è il termine esatto, per quanto pomposo) 2024 mi sono sembrate tutte belle. Per un semplice motivo: partono dalla realtà quotidiana di chi non ha ancora vent’anni senza indugiare nel semplicismo, ma al contempo ruotando intorno a parole-chiave capaci di travalicare il tempo e le generazioni.



Le ripropongo qui a mia totale discrezione e senza la pretesa che siano state esaustive nel comprendere le tracce stesse di questa maturità, ma anche nella convinzione che siano servite a individuarne il punto focale. Eccole: illusione e coraggio in Ungaretti, sentimenti e anima in Pirandello (analisi e interpretazione di un testo letterario); incertezza ed equilibrio nello storico Galasso, bellezza e cultura nella costituzionalista Cabiddu, silenzio e comprensione nella giornalista Polla-Mattiot (analisi e interpretazione di un testo argomentativo); imperfezione e soddisfazione nella scienziata Levi-Montalcini, solitudine e ricerca di sé nel saggista Caminito (riflessione critica sull’attualità).



Una scelta lessicale importante anche perché vicina alle problematiche di quanti si trovano nel passaggio decisivo tra scuola e università o mondo del lavoro, tra adolescenza ed età adulta, legata a temi di forte attualità che vanno dalla tragicità della guerra all’oppressione della macchina sull’uomo, dal proliferare delle armi atomiche all’eterno rapporto tra bellezza e cultura fino a tre “valori” controcorrente quali l’urgenza del silenzio per comprendere il mondo, l’accettazione dell’imperfezione come status normale dell’essere umano, la solitudine nella ricerca di se stessi.



Mi sembra, in definitiva, che una volta tanto le scelte ministeriali di questa maturità 2024 abbiano saputo mediare con successo fra la necessità di mantenere alta l’asticella delle proposte, così da conservare all’esame di maturità la dignità che gli è propria (ne dovrebbero trarre esempio anche alle medie inferiori, dove i temi dell’esame di licenza risultano spesso annacquati dal cattivo desiderio di “permettere a tutti di scrivere, comunque sia”) e la concretezza di argomenti nei quali le nuove generazioni non possono non riconoscersi.

Senza contare che per moltissimi studenti sarà stata l’ultima occasione in cui scrivere liberamente di coraggio, anima, bellezza, imperfezione, solitudine. La vita potrà portarli altrove, ma nella speranza – e sarà stato allora l’ultimo insegnamento della scuola – che non dimentichino la lezione regalata loro alla maturità dal pirandelliano Serafino Gubbio: “Soddisfo, scrivendo, ad un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella”.

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