“All’inizio e alla fine, abbiamo il mistero. […] A questo mistero la matematica ci avvicina, pur senza penetrarlo” (E. De Giorgi)
“Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle: le idee, come i colori o le parole, devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c’è posto perenne per la matematica brutta” (G. H. Hardy)
Queste due citazioni sono state inserite all’inizio e alla fine di un problema, il secondo, della seconda prova di maturità 2024 per il liceo scientifico, ovvero la prova scritta di matematica.
Tra le due citazioni, lo studente trova quello che sembra essere un problema standard, senza sorprese, dove viene richiesto di costruire il grafico di alcune funzioni attraverso dei dati, con richieste fornite mano a mano nell’esercizio.
Nulla accompagna le due citazioni, nessun riferimento rispetto all’esecuzione del problema. Nessuna riflessione richiesta.
Lo studente che si trova a leggere il testo si interrogherà sul perché, ma non dovrebbe esserne troppo distratto.
Poi, verso la seconda delle quattro parti del problema, arriva l’indizio che permetterà di chiarire l’interrogativo lasciato sospeso: dall’unione di due dei grafici costruiti in precedenza, lo studente è portato a disegnare… un cuore!
La citazione di Hardy collocata alla fine del problema diventa la chiave: “Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle” (…) “non c’è posto per una matematica brutta”.
Credo che su questa scelta verranno dette molte cose. Molte saranno impregnate di retorica, temo.
Si vuole così svelare il senso profondo della matematica? Si vuole dimostrare che questa disciplina è paragonabile alla profondità letteraria degli autori assegnati al liceo classico? Si vuole confermare che anche allo scientifico nella seconda prova si prova il senso critico-culturale degli alunni? Come può il disegno di un cuore racchiudere questa profondità? Non è banale sentimentalismo?
Queste domande sono sensate e decisive. Per molti aspetti vanno nella direzione in cui si sta evolvendo l’esame di maturità, a partire dal colloquio orale, dove la verifica delle conoscenze – già peraltro attestate durante l’anno e confluite nello scrutinio finale – è stata sostituita con un percorso di sintesi tra le varie discipline, guidato dall’alunno.
In questa veste di un esame di maturità vocato al “pensiero critico”, sicuramente la seconda prova dello scientifico mostrava da tempo di trovarsi a disagio, specie nel confronto con la seconda prova del suo “fratello maggiore”, il liceo classico, nel quale la difficoltà tecnica della traduzione è in qualche modo oscurata dall’autorità del pensiero legato all’autore del testo (una narrazione peraltro più giornalistica, dato che lo studente che deve svolgere la prova è poco preoccupato della riflessione sul testo). Allo scientifico si è sempre fatta fatica a cogliere – e raccontare – il senso antropologico dello svolgere una lunga prova di “equazioni, funzioni, grafici e integrali” (cito i titoli dei principali giornali radio che accompagnano la seconda prova).
Tornando all’“esercizio del cuore” proposto agli studenti della maturità 2024, la chiave di lettura per me è quella del “gioco”: disegnare un cuore non può certamente essere un esempio della profondità richiamate dai due matematici citati (bellezza, mistero, armonia), ma non ne è nemmeno una banalizzazione. Si tratta di uno spiraglio, di un esempio piccolo, tenuto conto del contesto in cui è proposto, ma che diverrà un doppio monito per la società da una parte e per gli insegnanti dall’altra.
Alla società sembra dire: “Attenzione, voi persone che non vivete la matematica: non pensate che il nostro mondo sia così arido. Quando facciamo matematica, noi vediamo forme, concetti, sfide sui quali il nostro spirito si interroga profondamente e continuamente. Che poi il frutto di questi interrogativi sia spesso qualcosa di molto utile anche per la vita quotidiana, è importante ma non è il motore del tutto”.
Anche per gli insegnanti credo che il quesito di oggi, nella sua semplicità e, se vogliamo, nella sua ingenuità, sarà uno spartiacque, invitandoli a riscoprire i grandi interrogativi che stanno dentro la vita dei grandi matematici, e proporli agli studenti. Sicuramente non sarà mai proponibile, nella scuola superiore, la matematica che i grandi hanno affrontato, specie se contemporanei, ma proviamo a giocarci, appunto, a simulare questa indagine, a coglierne le analogie anche facendo la matematica più ordinaria e consolidata, ma anch’essa, non a caso, difficilissima.
In cosa cresce lo studente facendo matematica (per cinque anni)? Cosa capisce di sé e degli altri? Quali decisioni lo porterà a prendere? Sono domande importanti che nelle discipline logico-matematiche non bisogna rinunciare a porsi. Nemmeno alla maturità.
P.S.: Il testo ministeriale tralascia una parte della citazione di Ennio De Giorgi. Eccola riportata integralmente: “All’inizio e alla fine abbiamo il mistero. [Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio.] A questo mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo”.
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