Un esame di maturità quasi scontato quello del 2025, dove tutto – o quasi – era altamente prevedibile. Lo dimostra la comunicazione delle materie seconda prova maturità 2025, avvenuta ieri. Per il liceo classico, la seconda prova scritta sarà incentrata su latino, rispettando pienamente l’alternanza con il greco, oggetto della prova dello scorso anno. Interessanti le discipline ad appannaggio dei commissari esterni: italiano, filosofia e scienze. Nel liceo scientifico, la seconda prova scritta sarà come sempre su matematica, con problemi e quesiti da risolvere. Anche qui i commissari esterni saranno di italiano, filosofia e scienze a dimostrazione che il criterio di scelta non è didattico, ma relativo alle classi di concorso dei docenti. Quest’anno a spostarsi da una scuola all’altra, in un’ideale turnazione con i colleghi degli anni scorsi, saranno un po’ dappertutto i professori di italiano, filosofia e scienze, lasciando potenzialmente a riposo – salvo designazioni interne – i docenti delle altre discipline.
Stessa storia per il liceo linguistico: gli studenti dell’LI04 (questa la sigla ufficiale dell’indirizzo) affronteranno una seconda prova in lingua straniera 1, che prevede comprensione scritta, produzione di testi e analisi linguistica in inglese. I commissari esterni verificheranno le conoscenze di italiano e scienze. Qui la prima vera novità: ad un commissario esterno sarà assegnata anche la verifica delle conoscenze e delle competenze di lingua straniera 2. Per tanti questo significa francese, per molti spagnolo.
Negli istituti tecnici anche quest’anno, come da ordinanza del 2017, la seconda prova varierà a seconda della specializzazione con un occhio di riguardo alla lingua inglese. Negli istituti professionali, infine, la seconda prova sarà specifica per ogni settore di studio.
Nessuno scossone e nessuna novità, dunque, per un esame di maturità che resta saldamente ancorato all’impianto messo a punto dall’allora governo Gentiloni e che prevede, per l’accesso alle prove, l’effettuazione dei test INVALSI e le ore previste nei diversi ordinamenti per i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO). Sarà l’ordinanza 2025 a fare luce sul ruolo che avranno strumenti come il curricolo dello studente, ipoteticamente punto di partenza per individuare i documenti della prova orale, ma di fatto strumento del tutto inutile ai fini della prova.
Ancora più misteriose le 30 ore annuali di orientamento introdotte lo scorso anno sulla scorta del PNRR e prive di un quadro di riferimento che consenta di coglierne l’impatto sul percorso formativo e sulla prova finale. Stessa cosa si sarebbe potuta dire dell’educazione civica, la materia introdotta durante il governo gialloverde nel 2019 a parametro zero: si fanno 33 ore annuali come per la religione cattolica, con la differenza che l’educazione civica non gode di uno spazio autonomo nell’orario, ma si dispiega trasversalmente nella pianificazione dei docenti che “fanno valere” come educazione civica le attività e le lezioni più disparate. Esattamente come comincia ad accadere per l’orientamento. Eppure, l’educazione civica quest’anno si prenderà una sua piccola rivincita: la battaglia del ministro Valditara per riportare ordine e disciplina tra i banchi prevede, un po’ a sorpresa, che a tutti coloro ai quali in sede di scrutinio sarà assegnato 6 come voto di condotta, si richieda l’estensione di un testo a tematica civica, direttamente discendente dal programma svolto in classe. Una sorta di esamino di recupero postumo per cattivo comportamento, una specie di monito che dovrebbe far riconoscere ai commissari d’esame non soltanto chi lavora e si impegna, ma anche chi non ha dimostrato correttezza e senso civico.
È quindi uno strumento nelle mani dei consigli di classe, un’arma che viene data ai docenti per segnalare percorsi formativi ostili o addirittura nocivi per la comunità. Il punto è che una cosa del genere può diventare un facile viatico per atteggiamenti “vendicativi” da parte dei docenti o per sublimare frustrazioni accumulate nell’arco dei cinque anni. A dire il vero, lo si capisce bene, la misura in sé è molto interessante e richiama con forza la necessità che all’esame di Stato si presenti una persona che abbia imparato a vivere insieme agli altri, nel rispetto delle regole e delle indicazioni che la comunità si è data per costruire spazi di interazione e di democrazia. Il vero problema, però, è la mancanza di una visione di insieme. Siamo sempre di fronte a pezzetti di riforme, messe in piedi da persone che non hanno contezza della complessità della scuola e che, quindi, non sono consapevoli di dove e di come occorra incidere. In fondo, lo sappiamo bene, sarà soltanto l’ennesima maturità.
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