Appare molto evidente l’intenzione del ministro della Pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi, nella formulazione delle tracce d’esame, di venire incontro alle esigenze degli studenti, che avevano protestato vivacemente contro la reintroduzione delle prove scritte della maturità.
Le tracce risultano molto abbordabili, a cominciare da quelle letterarie, con la scelta di due classici della nostra letteratura, come Pascoli e Verga: si è anche derogato alla regola invalsa in questi ultimi vent’anni, quando si privilegiavano testi del Novecento: La via ferrata di Pascoli è del 1886, la novella Nedda di Verga, addirittura del 1874.
Nemmeno il fatto che questi due autori sono presenti nei programmi di tutti gli istituti, è valso a orientare i ragazzi verso le tracce letterarie: se l’è cavata meglio Verga, favorito dalla ricorrenza del centenario della morte e quindi pronosticato, mentre Pascoli è stato scelto da meno del 3%, a conferma di quanto la scuola susciti ben poco amore per il nostro patrimonio letterario.
Fino all’anno scorso si poteva dire che tale disaffezione si spiegava con scelte di autori poco noti ai ragazzi, come Magris o Caproni: ma ora è evidente che il problema ha cause ben più profonde, su cui sarà opportuno riflettere.
Appare interessante la proposta de La via ferrata, che mette in scena ancora una volta il contrasto pascoliano tra una natura virgiliana e l’incombere di un progresso angoscioso, che il poeta tenta di assorbire musicalmente nell’invenzione, davvero notevole, dell’“immensa arpa sonora”. Giusto omaggio al grande poeta di Myricae, padre della poesia italiana moderna, come e più di D’Annunzio. Pasolini, che su Pascoli scrisse la tesi di laurea, riconosceva che da lui era uscita tutta la lingua poetica del Novecento.
Meno felice la scelta di Nedda, “bozzetto siciliano” che si pone all’alba, se non fuori, della svolta verista verghiana, da far risalire, invece, al capolavoro Rosso Malpelo. Nedda appare ancorata a moduli espressivi tardo-romantici, ben lontani dal principio dell’impersonalità, dominante nelle opere più grandi, per cui il bozzetto va collocato “piuttosto alla fine di un vecchio periodo che all’inizio di uno nuovo”, come afferma Romano Luperini. Secondo Momigliano, vi sono pagine che “potrebbero essere anche del De Amicis”.
Per spiegare lo scarso favore accordato dai nostri giovani a questi grandi autori, possiamo ipotizzare che la letteratura risulti scomoda, con la sua richiesta di competenze specifiche e di disponibilità esistenziali. Essa richiede di inabissarsi nelle profondità dell’io, di spalancare armadi che si preferisce tenere ben chiusi.
Le altre tracce vertevano su tematiche ampiamente prevedibili: ancora una volta le leggi razziali che, sia detto con grande rispetto per la senatrice Liliana Segre, hanno il sapore del dejà vu; la seconda prova della tipologia B proponeva una riflessione del neurologo Sacks sul potere della musica, altro argomento gradito ai giovani; la terza proposta della tipologia B riportava un discorso del premio Nobel Parisi sul riscaldamento globale e sul climate change, tema onnipresente in qualsiasi programmazione scolastica e particolarmente adatto a questa estate rovente; la prima proposta della tipologia C si soffermava sulle conseguenze a livello globale della pandemia; l’ultima traccia, la più gettonata dagli studenti, riproponeva il tema vetusto dei rischi di un mondo iperconnesso.
Come si vede, non ci si è fatti mancare nulla o quasi del politicamente corretto. Qualcuno ha rilevato l’assenza del tema della guerra in Ucraina o dell’invasione delle cavallette in Sardegna, ma si sa che le tracce più di sette non possono essere.
Scoraggiato dalla mancanza di scelte letterarie a favore di quelle scientifiche, chiedo alla mia collega di Scienze se a questo punto non sarebbe più logico se i temi li correggesse lei.
Resta l’impressione di un’ennesima occasione mancata per rinnovare l’esame di Stato. Ma la proposta più sensata rimane quella di abolirlo definitivamente.
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