Mentre scrivo, i più di cinquecentomila studenti impegnati nella prova scritta della maturità sono ancora immersi nella stesura del loro elaborato: hanno a disposizione sei ore per leggere tutte le tracce, scegliere quella che ritengono più adeguata ed elaborare i loro pensieri. Non sono commissario quest’anno. Per questo non ho accesso diretto ai testi delle prove. Eppure, su internet “girano” già tutti i testi, fotografati e scansionati.



Non resisto alla tentazione.

Seleziono con il cursore una delle tracce, computo il più straordinario dei comandi da tastiera (control + c) e riverso la sequenza di parole copiate nella bocca del protagonista digitale dei nostri giorni: ChatGPT.

In circa venti secondi l’intelligenza artificiale ha letto, interpretato, decodificato e risposto punto per punto all’analisi del testo in prosa, traccia A2. Provo con le altre. Stesso straordinario risultato.



E le domande iniziano ad aprirsi come pop up a cascata nella mia mente. In un pop up mi domando: “ci saranno degli studenti che riusciranno ad eludere i controlli e usare uno smartphone?” e poi: “E qualora ci riuscissero, i professori se ne accorgerebbero?”. In un altro mi domando: “ma il paragone sarà a favore dell’intelligenza artificiale o di quella naturale?” (Dentro questo pop up se ne apre un altro: “ma si può ancora parlare di natura al giorno d’oggi?” ma il mio cervello capisce che questo è un altro argomento).

Poi compare un altro pop up che mi trova sconcertato, perché mi fa uscire dal familiare terreno de “gli studenti che cercano di copiare” e mi fa addentrare nell’inesplorato e vertiginoso mare dei “professori che fanno correggere i temi a ChatGPT”: ci sarà qualche collega che, prima di iniziare le correzioni, sbircerà, come sto facendo io, qualcuno di questi testi artificiali per avere un qualche riferimento per valutare, nel bene o nel male, i testi reali? Che figura faranno i nostri ragazzi davanti al loro rivale cibernetico?



E così mi rendo conto che, forse, questa situazione introduce una nuova e mai così penetrante luce su due elementi implicati nella scrittura umana: tempo e novità.

Una delle tracce (forse quella che io avrei scelto) chiede di riflettere sul valore dell’attesa nella società del “tempo reale”: i più di cinquecentomila temi che sono stati prodotti in queste sei ore sono una forma di sopravvivenza di questa intelligenza lenta che è la scrittura. Ma a cosa serve questo tempo? Perché non è tempo sprecato? Per cosa serve così tanto tempo, se a decodificare e ad analizzare i testi bastano pochi secondi di calcolo elettronico?

Le tre qualità di uno scritto, si legge su alcune grammatiche, sono pertinenza, coesione e novità. Se sulle prime due ChatGPT sembra decisamente in vantaggio sulla media degli studenti italiani (e i dati Ocse lo confermano), nulla si può dire sulla terza: la novità è la scoperta fatta da chi scrive nel tempo della scrittura; la novità è l’esperienza del cambiamento che la scrittura permette: quello che si era prima di iniziare a scrivere non lo si è più quando si è terminato; la scrittura è un processo che genera un soggetto nuovo. Diceva Giuseppe Pontiggia: “Scrivere, nel senso più forte, più vero, non è trascrivere quello che si è pensato, ma è scoprire sulla pagina quello che non si sapeva di pensare. È una scoperta, un’invenzione nel senso etimologico del ritrovamento”. (G. Pontiggia, Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere, Belleville, 2016)

È significativo che l’intelligenza artificiale concluda così la sua risposta alla traccia C1, quella in cui si chiedeva di scrivere al ministro una lettera sull’esame di maturità:

“[…] È essenziale che il sistema educativo mantenga la sua autorità e credibilità, ma allo stesso tempo si adatti alle esigenze e alle sfide del mondo contemporaneo.
Cordiali saluti,
[Il tuo nome]”

“Il tuo nome”. Ecco la novità che nessuna immediatezza artificiale può decifrare o inventare: scrivere è scoprire qualcosa di sé attraverso il lavoro che la scrittura ci costringe sempre a fare: il paragone tra il mondo evocato dalle parole altrui, e il nostro io, le nostre attese, le nostre speranze, la nostra ragione.

Forse quest’anno più che mai, tra le infinite voci delle griglie di valutazione, la “novità” troverà lo spazio che le compete, il più reale che c’è.

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