Alpinista, poeta, scrittore e da qualche anno anche ospiti fisso delle trasmissioni di Bianca Berlinguer: Mauro Corona è un personaggio contraddittorio per antonomasia, sempre pronto ad esternazioni una volta “allineate” al sentire popolare, l’attimo dopo stravolgendo invece interlocutore e ideologia “dominante”. Ma come tutte le persone al mondo, anche Mauro Corona cela dentro un dolore grande che non sempre (e non tutti) sono pronti a rivelare in tv davanti a milioni di persone. Così è avvenuto che nell’ultima puntata di “È sempre Cartabianca”, la tematica posta dalla conduttrice al “suo” ospite fisso prenda spunto dalle dichiarazioni recenti della deputata FdI Lavinia Mennuni.
Intervenuta in un altro programma tv su La7, la parlamentare ha suscitato non poche polemiche per aver detto, nell’idea di contrastare il dramma della denatalità, che «dovremmo aiutare le istituzioni, il Vaticano e le associazioni a far diventare la maternità di nuovo cool». «La missione è di mettere al mondo dei bambini, ma mettere al mondo dei bambini è una missione per le donne», chiede provocatoriamente Berlinguer a Mauro Corona, aspettandosi forse una risposta “scontata” da uomo di sinistra che spesso si professa tale. E infatti per un primo momento l’alpinista vicino al Vajont segue “lo schema” come ci si attendeva: «Questa è la classica politica del ventennio. Che bambini, che futuro diamo a questi bambini che la politica di destra vuole mettere al mondo? Una terra contaminata, senza lavoro, senza futuro, senza possibilità di uno sviluppo anche economico, anche lavorativo».
IL DOLORE DI MAURO CORONA: “ACCUSO I MIEI GENITORI PER AVER MESSO AL MONDO UNA PERSONA CHE È STATA MALE”
Eppure inizia a far “capolino” una tematica ben più profonda e recondita nelle parole di Corona, ovvero il fatto che mettere oggi al mondo dei figli sia un dramma, quasi un “peccato” visto il dolore e la sofferenza presenti tutti i giorni. Lo scrittore lo dice poi senza freni: «Per fare dei figli, prima bisogna creare un terreno dove possano vivere, non dico felici, ma tranquilli, con un lavoro, con una possibilità di studio, con una sanità». Secondo Mauro Corona, il mondo è pronto ad estinguersi non tanto per cataclismi o scioglimento dei ghiacciai, «ma perché le donne non faranno più figli, perché mettere al mondo figli oggi significa mettere al mondo gente che sta male».
Ne nasce allora con Bianca Berlinguer un rapido scambio di battute dove l’uno chiede all’altra cosa pensi in merito alla felicità della figlia: «Bianchina, le voglio fare una domanda. Sua figlia, che lei ha messo al mondo, sicuramente amerà, è una ragazza felice?», con Berlinguer che replica «Come tutte le ragazze, ha dei momenti di felicità e dei momenti di infelicità». Da qui Corona trae conseguenza “diretta” (forse pure troppo), «Quindi lei ha messo al mondo una persona che sta male, non è felice». Infine, l’ultimo e forse più significativo messaggio dato da Corona (non colto dalla conduttrice in diretta) che riflette abbastanza chiaramente il dolore originario che alberga il cuore di un uomo pur esperto e “navigato” come il poeta friulano: «La felicità è degli imbecilli. Però ci può essere un momento di tranquillità, di serenità, di dolcezza. Bello stare con una persona ma io non sono mai stato felice: io accuso i miei genitori di aver messo al mondo una persona che è stata male».
I FIGLI, LA FELICITÀ E IL FUTURO “LIBERO”
Davanti al dolore grande, davanti allo “star male” di fronte al mondo, l’accusa disperata contro addirittura chi in questo mondo ci ha “portato”, ovvero i nostri genitori. Quella di Corona non è un’invettiva solitaria ma incrocia molti disagi e sofferenze di tanti che non possono (e non devono) essere banalizzate in una frettolosa definizione di “pessimismo cosmico”. Il sincero timore di generare dolore nel generare figli è radicata e molto nell’Occidente di oggi: il tema è tutt’altro che banale e difficile è anche “entrare” nel dolore degli altri per dire cosa bisognerebbe dire/fare/pensare.
Un grande pensatore moderno come il compianto Joseph Ratzinger in un discorso all’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su Famiglia e comunità cristiana presso la Basilica di San Giovanni in Laterano (6 giugno 2005) parlava “stanava” l’arcano all’origine, ovvero il ritenere che i propri figli siano “direttamente” emanazioni di noi stessi. «Nessun uomo e nessuna donna, però, da soli e unicamente con le proprie forze, possono dare ai figli in maniera adeguata l’amore e il senso della vita. Per poter infatti dire a qualcuno “la tua vita è buona, per quanto io non conosca il tuo futuro”, occorrono un’autorità e una credibilità superiori a quello che l’individuo può darsi da solo». Secondo Papa Benedetto XVI è nella connessione intima tra uomo e divino, tra essere e Verità che è possibile rimanere con una “fiducia” nel tempo che si ha davanti, anche se non controllabile dall’umanità: «La totalità dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il “sì” dell’uomo è un andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il “sì” significa “sempre”, costituisce lo spazio della fedeltà. Solo all’interno di esso può crescere quella fede che dà un futuro e consente che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo».
Per l’intuizione del Papa Emerito, la libertà di quel “sì” alla vita si rivela essere una libertà ben più alta: «la più grande espressione della libertà non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione; è invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa». Un dolore come quello raccontato da Mauro Corona può rimanere anche un’intera vita senza risposta, come una ferita aperta continua e dolorosa: nella dimensione cristiana serve solo un abbraccio per comprendere a livello carnale che il dolore e le sfiducia nella realtà può essere “colmato” solo dalla Verità che entra nella storia. Una Verità che plasma e crea l’umanità libera fin dall’alba dei tempi; una Verità a cui affidare i propri cari, ben consci che il loro destino non è “creato” da noi o dalle nostre fragilità. È solo così che potrebbe allora essere sensato e quasi ragionevole “venire al mondo”, anche se così sofferente e “incasinato”, per incontrare quella Verità non “teorica” ma incarnata nelle relazioni e negli affetti. A cominciare dai propri genitori.