Maxiprocesso a Cosa Nostra, un momento chiave della storia giudiziaria del Paese
Il maxiprocesso a Cosa Nostra, iniziato nel 1986 a Palermo su impulso delle indagini condotte dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e del pool antimafia, è una della pagine più importanti nella lotta alla criminalità organizzata non solo in Italia. Fu uno dei momenti chiave della storia giudiziaria del Paese, capace di un’eco su scala internazionale per via non solo dei numeri imponenti in termini di imputati e condanne, ma anche per il ruolo che le rivelazioni dei “pentiti” rivestirono nel tessuto dell’accusa.
“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni“. Lo disse Falcone, parafrasando l’entità di una lotta senza sconti alle cosche e ai loro vertici e sintetizzando lo spirito con cui venne istruito il maxiprocesso che avrebbe inflitto uno dei colpi più forti a Cosa Nostra. Per la prima volta, centinaia di malavitosi arrivarono alla sbarra tra capimafia, gregari e picciotti. Fu la sfida più grande per Falcone e Borsellino, che di lì a pochi anni, nel 1992, sarebbero morti insieme alla loro scorta nei terribili attentati di Capaci e via D’Amelio.
I numeri del maxiprocesso a Cosa Nostra e l’aula bunker costruita in tempo record
Il maxiprocesso si aprì il 14 febbraio 1986 a Palermo e si concluse 22 mesi dopo, il 16 dicembre 1987, con una valanga di condanne. I numeri del dibattimento sono impressionanti se si considera che fu la prima volta che, in un’aula giustizia, finirono alla sbarra centinaia di esponenti di mafia. Il gotha di Cosa Nostra e i suoi “uomini d’onore” chiamati a rispondere di decine di reati davanti alle istituzioni e a tutta Italia nell’ambito di un solo, monumentale processo. Grazie alle indagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e del pool antimafia, oltre alle rivelazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, si individuarono i responsabili di 120 omicidi. 349 udienze e una camera di consiglio lunga 35 giorni portarono la Corte a un verdetto storico. 346 le condanne, 114 le assoluzioni. Furono inflitti 19 ergastoli e 2265 anni di carcere tra capimafia, “colonnelli”, gregari e picciotti.
La mole del maxiprocesso richiedeva uno spazio idoneo che, all’epoca, non c’era. In sette mesi, con un’impresa dal sapore straordinario, accanto al carcere dell’Ucciardone fu costruita l’aula bunker, ribattezzata “L’astronave verde”, necessaria al dibattimento. Un luogo blindato e vicino per consentire il trasferimento dei detenuti in sicurezza. La sua forma ottagonale, con 30 gabbie e un impianto di sistemi di protezione che la rendevano capace di resistere anche ad attacchi missilistici, secondo quanto emerso sarebbe costata qualcosa come 36 miliardi di lire. Gli imputati furono 475 alla prima udienza, ridotti a 460 dopo lo stralcio di alcune posizioni. Tra loro nomi eccellenti di Cosa Nostra tra cui Pippo Calò, Luciano Leggio, Salvatore Montalto, Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Gaetano Badalamenti, il boss ‘Zu Tano di Cinisi, giudicato in contumacia perché detenuto negli Stati Uniti. Le accuse furono associazione mafiosa, traffico di droga, rapina, estorsione e omicidio. A presiedere la Corte d’Assise fu Alfonso Giordano, giudice a latere Piero Grasso. I pm Domenico Signorino e Giuseppe Ayala a rappresentare l’accusa in giudizio. La sentenza di primo grado fu emessa il 16 dicembre 1987. Giordano avrebbe impiegato un’ora e mezza per concludere la lettura del dispositivo, un documento di 54 pagine con nomi dei condannati e relative pene inflitte.
L’appello e la Cassazione che ha chiuso il maxiprocesso
Il processo d’appello iniziò il 22 febbraio 1989 e si concluse il 10 dicembre 1990 con la lettura di una sentenza che avrebbe ridimensionato l’esito del primo grado. A leggere il dispositivo, il presidente Vincenzo Palmegiano. Altri pentiti si erano aggiunti a Buscetta e Contorno, ma gli ergastoli scesero da 19 a 12, 86 le nuove assoluzioni. Le pene detentive furono ridotte di oltre un terzo, portando a 1576 gli anni di reclusione.
Nel 1992, il 30 gennaio, la decisione della Cassazione, con la Corte presieduta dal giudice Arnaldo Valente. L’esito non lasciò molto margine alle speranze degli imputati: le condanne furono confermate e gran parte delle assoluzioni stabilite in appello fu annullata. Un verdetto che rese definitiva la quasi totalità delle condanne stabilite nel primo grado del maxiprocesso. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non videro mai quel giorno: il primo morì nella strage di Capaci del 23 maggio 1992, assassinato con la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta mentre faceva ritorno a Palermo, il secondo fu vittima dell’attentato in via D’Amelio nel 19 luglio dello stesso anno, ucciso con gli agenti della scorta davanti all’abitazione dell’anziana madre.