Il Sindaco di Milano ha lanciato sui social network un accorato appello a stare a casa. Pochi giorni fa aveva promosso un video dal titolo #Milanononsiferma, che ricordava molto il vecchio spot della Milano da bere, e in molti hanno fatto notare l’incongruenza. Sbagliava prima o sbaglia adesso? Alberto Contri, past president della Fondazione Pubblicità Progresso e Docente di Comunicazione Sociale all’Università Iulm, evidenzia di essere stato «tra i pochi che hanno giudicato subito fuori luogo l’iniziativa di #Milanononsiferma, considerata invece da molti creativi un successo per le svariate decine di milioni di visualizzazioni raggiunte. Secondo me sono stati invece altrettanti incentivi a frequentare la movida e gli aperitivi.
Abbiamo visto molte repliche come #Romanonsiferma, #Genovanonsiferma, ecc. E ora i virologi dicono che a Roma l’infezione si sta allargando.
Era inevitabile. Ma credo che nonostante i pareri degli autorevoli virologi, i primi cittadini ma anche i responsabili delle associazioni imprenditoriali non si arrendono all’idea che l’unico modo per arrestare l’infezione sia invece fermarsi, isolarsi, fare terra bruciata intorno al virus. Dopo che si sarà fermato, e mentre si svilupperanno vaccini e cure, si potrà pensare a ripartire. Io semmai avrei detto con sincerità: “Per il bene di tutti, Milano si ferma. Per poter ripartire alla grande”.
Molti editorialisti e giornalisti criticano la comunicazione del Governo in questa occasione. Lei cosa pensa?
Premesso che si sta fronteggiando una crisi con troppe incognite e quindi è più che umano sbagliare, è proprio durante una crisi che emerge con maggiore evidenza la scarsa cultura della comunicazione pubblica, e non solo. Si pensa da sempre che comunicare sia una cosa facile, nella Pubblica amministrazione, nel migliore dei casi, la si fa gestire a dirigenti con tutt’altro background alle spalle. O ci si affida a giovanotti che pensano solo a raggiungere un alto numero di impression o di una alta audience. Nel peggiore dei casi, a sedicenti comunicatori del tutto improvvisati.
Da molti giorni quotidiani e tv dedicano intere pagine e continui programmi al problema del coronavirus. Nonostante questo, i bar dei Navigli di Milano e di Ponte Milvio a Roma sono affollati. Come se lo spiega?
In questo caso stiamo parlando di giovani che guardano poco la tv e men che meno leggono i giornali. Inoltre, complessivamente la comunicazione ha oscillato tra allarme e attenzione a non creare panico. In mancanza di una comunicazione precisa e ben calibrata, la massa reagisce in maniera inconsulta e contraddittoria: assalta un giorno i supermercati, e nel weekend successivo dà vita a movide e aperitivi.
Se dipendesse da lei, cosa farebbe?
Innanzitutto penserei a iniziative coerenti con il contesto. Come si può pensare di decantare le bellezze delle nostre città nel momento in cui i grandi attori stranieri che stanno girando film in Italia stanno scappando? Mentre gira il mondo la foto dei soldati con mitra e mascherina in Piazza Duomo, e mentre la CNN ci dipinge come gli untori del mondo?
In effetti promuovere le bellezze del Paese si dovrà farlo, certo non adesso. Ma in termini immediati?
Innanzitutto potenzierei i call center dedicati: non si può invitare la gente a telefonare a numeri perennemente occupati. Questo sì che crea panico. Quindi cercherei di far capire a tutti il pericolo che stiamo correndo non avendo timore di suscitare la dovuta paura, che è l’unico deterrente contro movide e aperitivi. Infine, userei una strategia multimediale integrata, saturando i diversi canali di comunicazione con contenuti realizzati ad hoc per ogni canale e adatti a coinvolgere emotivamente e con semplicità i diversi target. Un lavoro complesso, per giunta da fare di gran corsa per vedere se si riesce ancora a isolare il virus prima che si moltiplichi in maniera esponenziale senza più limiti.