Con la sentenza che ha dato ragione a Vivendi nella disputa con Mediaset, consentendo ai francesi di far valere tutto il loro peso azionario nella società del Biscione, la Corte di giustizia europea ha sancito il superamento del divieto di incroci azionari tra aziende dei media e aziende delle telecomunicazioni. Così, da un lato, ha affermato che di fatto le norme dell’Agcom non sono compatibili con le regole dell’Unione – dunque Vivendi, secondo azionista di Mediaset e primo azionista di Tim, può esercitare in pieno tutti i suoi diritti sul capitale detenuto – e dall’altro ha offerto a Mediaset la possibilità, subito colta, di aprire il dossier della Rete unica. Non a caso è stata definita una sentenza “storica” che apre a diversi scenari e interrogativi: la decisione della Corte è una bocciatura della legge Gasparri? Ora la legge andrà riscritta? Nel mondo cristallizzato dei media italiani che cosa succederà? Ne viene coinvolta anche la Rai? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Pilati, già commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e profondo conoscitore del mondo dei media.
È giusto considerare la sentenza della Corte Ue una decisione “storica”?
Di veramente storico nel campo delle telecomunicazioni, e non solo, c’è la fortissima accelerazione dell’innovazione tecnologica digitale, che crea una serie di cambiamenti di mercato un tempo impensabili.
La pronuncia della Corte è una bocciatura della legge Gasparri?
In questo quadro di forte accelerazione tecnologica la Corte Ue sostanzialmente ribadisce alcuni principi di lungo periodo della giurisprudenza europea, a partire dall’apertura dei mercati e dall’eliminazione delle barriere. Questa tradizione è al momento rimessa in discussione all’interno della Ue, come dimostrano le reazioni alla bocciatura, da parte della Dg Concorrenza, della fusione Alstom-Siemens in campo ferroviario. Subito dopo, infatti, si sono incontrati i ministri dell’Industria di Francia e Germania per chiedere una modifica alla normativa, perché altrimenti l’Europa non avrebbe imprese di taglia sufficiente per poter competere con i colossi americani e asiatici. Quindi, mi pare naturale che in questo momento di riflessione la Corte di giustizia ribadisca alcuni princìpi di fondo.
A questo punto, Parlamento e Agcom dovranno uniformarsi alla decisione, mettendo mano alla legge Gasparri? Basta un intervento parziale o va ripensato tutto l’impianto? Con quali tempi?
Di per sé la decisione della Corte non implica la necessità di modificare la legge Gasparri. È sufficiente al momento che l’Agcom si adegui alla decisione europea per sanarne gli effetti. È poi ben diverso se il Parlamento ritiene che vada disegnato un nuovo quadro giuridico delle telecomunicazioni.
Secondo lei, quale dovrebbe essere la direzione da prendere?
In una fase così delicata è difficile mettere mano a delle regolamentazioni generali, che sarebbero poco efficaci, vista la velocità delle innovazioni in atto. I punti più sensibili al momento, su cui peraltro non vedo un grosso accordo, sono due: il primo, fissare alcuni paletti rispetto alla forza dei colossi globali, che sono sostanzialmente già dentro il mondo delle comunicazioni e del broadcasting e godono anche di trattamenti fiscali molto vantaggiosi.
Può citare un esempio?
Amazon ha lanciato a fine 2019 una costellazione di oltre 3mila satelliti con un investimento di svariati miliardi per dare copertura a banda larga alle aree del pianeta non coperte da internet. Quindi Amazon è già un operatore delle comunicazioni oltre che produttore di contenuti audiovisivi. Aziende di questa forza e dimensione, quando entrano in un mercato, possono acquisire rapidamente posizioni dominanti.
E il secondo punto delicato?
Riguarda il ruolo della Rai. Oggi in Italia è il principale produttore di fiction e credo che in un momento in cui i maggiori produttori internazionali, come Netflix e Amazon, sbarcano nel nostro paese accrescendo la pressione competitiva, vada rafforzato il ruolo della produzione nazionale per non perdere un asset produttivo e anche la memoria storica del nostro pese che esso fa rivivere. In tal senso va ripensato il ruolo stesso del canone.
In che senso?
Dovrebbe essere maggiormente dedicato agli investimenti produttivi, con una miglior razionalizzazione delle risorse spese per mantenere la struttura occupazionale della Rai.
Le legge Gasparri vieta concentrazioni e posizioni dominanti per tutelare il pluralismo dell’informazione e dei media. Dopo questa sentenza si corrono rischi?
Francamente non credo.
La decisione della Corte è arrivata subito dopo il via libera al progetto Rete unica. Solo una coincidenza o una questione di tempi tecnici?
La questione della rete unica, centrata soprattutto sugli investimenti per la banda larga, è un tema diverso.
Intanto Mediaset ha già annunciato il suo interesse a entrare nella partita della Rete unica. Che cosa potrebbe succedere?
Prima di poter ipotizzare sviluppi e scenari futuri, è necessario e inevitabile, a mio avviso, risolvere il contenzioso tra Mediaset e Vivendi, che oltre a essere socio quasi al 30% è anche l’azionista di maggioranza di Tim.
La presenza dei francesi di Vivendi in un asset strategico come le telecomunicazioni non è troppo ingombrante?
Nel 1997, con il governo Prodi, abbiamo preso – e siamo uno dei pochissimi paesi europei ad averlo fatto – la decisione di privatizzare Telecom, facendo uscire lo Stato dalla compagine azionaria. È strano oggi stupirsi di avere un’azienda straniera che controlla la principale società di telecomunicazioni del nostro paese, visto che è stato proprio il governo italiano a scegliere di vendere la propria quota e di affidarla al mercato. Telecom ha cambiato tanti proprietari e prima di Vivendi già la spagnola Telefonica ne ha detenuto la maggioranza relativa. Non è dunque una novità.
La sentenza può avere ripercussioni anche sul sistema televisivo italiano e sul duopolio Rai-Mediaset?
Non siamo in un regime di duopolio, perché Sky ha fatturati più o meno simili e la stessa Netflix è ormai un player importante del mercato italiano. E poi la tecnologia, in misura dirompente, sta aprendo questo mercato, basti pensare ai crescenti consumi di immagini via streaming.
Si è aperta la corsa alla nuova tv con la convergenza tra telecomunicazioni e media?
La convergenza è un processo già avvenuto, siamo in un altro mercato.
Un’ultima domanda: a questo punto il progetto Media for Europe di Mediaset – un polo europeo della tv generalista, con sede in Olanda, radici in Spagna e orizzonte di espansione in Germania e Austria – rischia di saltare del tutto?
Nella forma in cui è stato presentato è già saltato. Sarà Mediaset a decidere se presentarlo in una nuova forma.
(Marco Biscella)