Da una decina di giorni un nuovo drone mediatico si aggira nei cieli della politica italiana. È il “rancore”, lanciato dall’editoriale d’esordio del nuovo direttore di Repubblica Mario Orfeo e rilanciato ieri sul column del Corriere della Sera da Walter Veltroni: non prima di essere stato oggetto di avvistamenti-civetta altrove, fra carta e web.
Vi è dunque più di un indizio che la sinistra nazionale abbia deciso di rinnovare l’arsenale delle parole d’ordine. L’“odio” – vecchio ma fidato razzo di tante campagne recenti – si sta evidentemente rivelando obsoleto, mentre la guerra contro le destre continua. Anzi: mentre di guerre vere – purtroppo – ne sono scoppiate in Europa e Medio Oriente. Guerre che però la sinistra italiana continua a non voler/saper giudicare, come invece sarebbe dovere di una forza politica che si candida a governare un Paese come l’Italia. Meglio insistere sui mantra linguistici nel cortile di casa, sulle molotov poco più che virtuali (come ieri il deputato dem Alessandro Zan – paladino del contrasto all’omotransfobia – in difesa delle famiglie arcobaleno, mentre il governo ha approvato senza reale opposizione una manovra da 30 miliardi).
Dunque: pare finita la stagione della “lotta all’odio”, sempre “nero” per antonomasia, per lasciar spazio a una “lotta al rancore” se possibile ancor più fumosa e salottiera nei fini e nei mezzi. Nel frattempo, però, sembra lecito interrogarsi sul perché di un cambio di canone politico-mediatico e inevitabile tentare un bilancio della “campagna anti-odio”.
Questa è cominciata esattamente cinque anni fa, a fine ottobre 2019, quando all’indomani di un’ennesima affermazione elettorale locale della Lega (quella di Donatella Tesei in Umbria), il Pd – allora in maggioranza con M5s nel Conte 2 – lanciò una commissione bicamerale straordinaria sui fenomeni di odio. Ne fu più che simbolicamente chiamata a leader la senatrice a vita Liliana Segre, già protagonista di una vibrata denuncia “anti-nazista” contro i partiti di centrodestra in occasione del ribaltone dell’estate 2019.
Sopravvissuta alle elezioni 2022, la commissione è tuttora attiva, anche se da tempo se ne sono perse le tracce. Fra una legislatura e l’altra ha prodotto una relazione ordinaria e sbrigativa, passata però inosservata. Non ha stupito che un commentatore come Luca Ricolfi non vi abbia minimamente fatto menzione, nei giorni scorsi, quando gli incidenti anti-israeliani di Roma gli hanno sollecitato una riflessione politica e giuridica sulla nozione di “odio razziale”. Chiarirla e definirla era invece l’obiettivo specifico della commissione parlamentare “conoscitiva”, possibilmente con l’elaborazione di un progetto di legge.
L’unico bersaglio – strettamente elettorale – centrato dall’“offensiva contro l’odio nero” è stata, ancor prima della pandemia, la difesa faticatissima del fortilizio Emilia-Romagna nel gennaio 2020: non priva di effetti politici (data allora l’esordio vero dell’attuale segretaria Pd Elly Schlein, ex civatiana), ma senza seguiti strategici per la sinistra, nettamente battuta nelle due consultazioni di scala nazionale successive, le politiche 2022 e le europee 2024.
Nel frattempo i droni veri della geopolitica hanno sconvolto anche le categorie mediatiche più consolidate. L’antisemitismo – emblematico dell’“odio” e priorità della senatrice Segre, reduce da Auschwitz – è diventato meno “assoluto” come male da combattere mano a mano che Israele, governato dall’estrema destra, ha sviluppato la sua sanguinosa reazione al massacro perpetrato da Hamas. E chi dimostra a favore dei palestinesi e contro Israele (contro la stessa Segre) sono i giovani di sinistra, non quelli di destra. Chi ha sostenuto il governo Netanyahu (almeno finora) e contrastato e vietato i cortei del nuovo “odio antisionista” è stato il governo di destra-centro. Il Pd di Schlein, invece, non ha mai pronunciato una parola di condanna per manifestazioni di odio totalmente “rosso” e per nulla “nero”.
È comprensibile che l’odio sia diventato slogan scomodo a sinistra. Meglio archiviarlo in fretta, assieme, evidentemente, a un’intera stagione politica. Avanti con il “rancore”. Ma quale? Di chi e contro chi?
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