I rumour sulle condizioni di salute di Berlusconi, usciti venerdì mattina presto, sono stati probabilmente esagerati in senso negativo e sono rientrati nel corso della giornata. La vicenda ha avuto ovviamente un risvolto politico su cui si sono esercitati diversi commentatori; forse meno noti sono quelli borsistici e finanziari, perché, per quanto spiacevoli, i “rumour” sono stati intercettati anche dagli investitori e rilanciati dai principali media del settore.
La regola generale in questi casi è una reazione positiva perché un elemento di rottura è un’occasione per ridiscutere strategie ed equilibri consolidati e rilanciare un po’ di “sana” speculazione. La regola in questo caso si declina su diverse società quotate con accenti molto diversi. Fininvest detiene partecipazioni rilevanti in Mediolanum, in Mondadori e in Mediaset.
Il gruppo Doris detiene una partecipazione (40,4%) in Mediolanum sensibilmente superiore a quella di Fininvest (30,8%) e quindi l’equilibrio della società è in un certo senso indipendente dai destini della partecipazione della società della “famiglia Berlusconi”. In questo non sarebbe lecito attendersi grandi cambiamenti.
Diverso il discorso per Mondadori e Mediaset dove le partecipazioni di Fininvest sono, rispettivamente, il 53,3% e il 44,2%. La premessa in questo caso è che entrambe le attività, anche se involontariamente, si intersecano con la politica. Si intersecherebbero con la politica anche se Berlusconi non avesse mai avuto alcun ruolo nei partiti e nel Parlamento italiani. La “televisione” e i “giornali” influenzano l’opinione pubblica e a tutte le latitudini sono un osservato speciale: dagli Stati Uniti alla Russia con tutto quello che c’è in mezzo. Se domani arrivasse un imprenditore russo attratto esclusivamente dalle possibilità di “business” del settore media italiano non potrebbe muoversi liberamente come se investisse nel settore “automotive”.
La domanda che gli investitori inevitabilmente si pongono è cosa succederebbe a queste società una volta che venisse meno l’attività politica diretta di Berlusconi anche solo perché fuori dall’agone elettorale. Il caso più interessante è sicuramente quello di Mediaset. Da un lato, la società forse sarebbe più libera di muoversi nel mercato europeo, da un altro, verrebbero meno relazioni che sono state positive. Le mosse strategiche di Mediaset, dall’intervento in Endemol, alla tentata espansione nella pay per view non sono state positive, ma in compenso sono state molto costose; oggi è in corso il tentativo di creare un gruppo europeo che ha costi certi, ma esiti difficile da prevedere. Una società “normale” con un bagaglio “politico” meno ingombrante, anche solo dal punto di vista della percezione, avrebbe più flessibilità, ma rimarrebbe comunque in un settore complicato dove serve tantissima sapienza per muoversi.
Avere più flessibilità anche solo perché ci sono meno pregiudizi aumenta il rischio imprenditoriale e le responsabilità del management e, in un certo senso, anche il livello di scrutinio di investitori e mercati che sarebbero più esigenti. Questi non sarebbero più disposti a “pagare” per un assetto particolare che oggi ritengono possa avere esternalità positive.
Bisogna quindi distinguere due fasi: una prima speculazione non particolarmente calcolata e una seconda fase in cui la rottura degli equilibri apre diverse possibilità di segno opposto. Il settore, “politico” per definizione, e la storia particolarissima, con un imprenditore che ha ricoperto cariche pubbliche, rendono qualsiasi frattura un evento borsistico rilevante. La parte più facile è la reazione iniziale, dopo si aprono tutti gli scenari soprattutto se le strategie in atto non dovessero portare i frutti sperati.
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