Giovedì Mediaset e Vivendi hanno finalizzato, come da previsioni, l’accordo che era stato annunciato il 3 maggio e con cui i due gruppi avevano messo fine a anni di controversie seguite prima alla rottura dell’accordo sul mercato premium e poi al rastrellamento di azioni Mediaset da parte della società francese.
In particolare, Fininvest ha acquistato il 5% di azioni Mediaset detenute direttamente da Vivendi a un prezzo di 2,7 euro per azione; in questo modo Mediaset si è riportato sopra al 50% delle azioni. Il resto della partecipazione detenuta da Vivendi, il 19,19%, verrà dismessa in un periodo di cinque anni e Fininvest avrà il diritto di comperare le azioni invendute a un prezzo annuale prestabilito.
La notizia era scontata dagli investitori, ma il closing è una data chiave dal punto di vista societario e che segna una frattura tra un prima e un dopo. Ricordiamo quindi che le azioni della società televisiva il giorno dopo l’annuncio hanno reagito molto bene con gli investitori che scommettevano su un rinnovato sforzo nel percorso di consolidamento europeo. Le azioni di Mediaset Espana avevano reagito ancora meglio.
Con il closing dell’accordo, infatti, Mediaset è libera di perseguire la propria strategia senza intralci e senza che il management si debba occupare di una vicenda societaria spinosa che ha coinvolto anche i tribunali. Mediaset è azionista di maggioranza relativa del gruppo tedesco Prosiebensat e ha già provato con successo a fondersi con la controllata spagnola. È questo ultimo episodio a dare la chiave di lettura sulle sfide che attendono la società guidata da Piersilvio Berlusconi.
È vero che un processo di consolidamento europeo risponde ad esigenze industriali perché nel mercato televisivo sono entrati nuovi concorrenti, si pensi a Netflix e a Youtube, e la competizione è molto più dura e obbligata a confrontarsi con colossi globali. Detto questo, il business televisivo rimane inevitabilmente politico e nonostante la televisione sia stata pronunciata morta tantissime volte è ancora lì a influenzare l’opinione pubblica in modo massiccio. In questo senso gli ultimi diciotto mesi sono stati una rivincita.
Non è l’unico business con una componente politica, ma in questo gruppo sta o in cima alla classifica, nonostante i “social”, o sul podio. La strategia di Mediaset non si scontra tanto con requisiti finanziari, con la capacità di ottenere prestiti o generare abbastanza cassa per avere sufficiente potenza di fuoco; la strategia si “scontra” con sistemi Paesi che potrebbero decidere di sentirsi più tutelati o di rendere le cose più facili a, per esempio, un operatore con una carta d’identità diversa nonostante Schengen e nonostante “l’Europa”. Nei prossimi mesi si chiariranno queste sfide.
Non tralasciamo uno sguardo su Vivendi perché anche la società francese è libera da giovedì in Italia. È pur sempre l’azionista di maggioranza relativa di Tim con una partecipazione superiore al 20%. I punti di contatto delle società di telecomunicazioni con quelle televisive non sono tanto nel segmento generalista quanto in quello della pay per view. L’utente di una TV generalista non paga; a pagare è solo l’impresa che compra la pubblicità. L’utente di un canale a pagamento paga esattamente come quello che compra un abbonamento di banda larga o un pacchetto dati internet. Su questo punto di contatto si possono immaginare scenari esattamente come si sono provati a costruire quando Vivendi e Mediaset si sono alleati nel segmento premium. Anche la svolta di Vivendi in Italia merita di essere osservata.
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