La notizia. Come noto in questi giorni è in discussione la Legge di bilancio 2024 e sono pertanto al lavoro tutte le commissioni che se ne occupano. Tra le proposte del Governo vi è l’aumento a 70 anni su base volontaria della età di pensionamento per medici e infermieri del Servizio sanitario nazionale. In questo contesto ha fatto scalpore la notizia secondo cui l’Esecutivo aveva predisposto il testo di un emendamento per estendere l’età pensionabile dei medici a 72 anni (non per gli infermieri, fermi a 70), allargandola anche ai docenti universitari della facoltà di medicina, facendo leva sul presupposto della notevole carenza di medici sul territorio.



Ne aveva parlato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani a margine della riunione della commissione Bilancio in Senato alla vigilia della maratona notturna sulla legge di bilancio: secondo Ciriani erano arrivate tante richieste di modificare il testo originale riferito ai 70 anni sia da parte della maggioranza che dell’opposizione, e vi era un parere favorevole del Governo per arrivare a 72 anni (sempre su base volontaria).



I commenti. È del tutto superfluo osservare che una proposta del genere avrebbe suscitato molte reazioni, che immediatamente sono arrivate. Scontata l’opposizione del Movimento 5 stelle con una nota a firma dei rappresentanti del partito nella Commissione bilancio del Senato, la reazione più forte (anche nel linguaggio) è venuta dal segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l’Anaao Assomed (“è un insulto alla categoria, solo per salvare alcune lobby. Questa volta faremo le barricate e siamo disposti a indire nuovi scioperi da subito. Non si salva così la sanità pubblica … Noi chiediamo di poter lavorare bene e il tempo giusto. Invece, da un lato si costringono i medici ad andare in pensione dopo per non avere tagli enormi alla propria pensione e dall’altro si va ancora oltre: invece di sbloccare il tetto alle assunzioni nel Sistema sanitario nazionale, si pensa di poter sopperire alle carenze facendo lavorare i medici già in servizio oltre i 70 anni”).



È noto che i sindacati sono contrari a un allungamento della permanenza sul lavoro, mentre il ministero della Salute (a detta di Ciriani) avrebbe condiviso l’iniziativa. Tanti medici si sono espressi su questa possibilità, come si evince anche dalle molte reazioni apparse sui social: reazioni di singoli individui, chi favorevole e chi contrario all’estensione (anche se volontaria) a 72 anni, con il tipico linguaggio spesso irridente, pungente, anche sopra le righe, che caratterizza i social.

Risultato: emendamento scomparso. Può darsi che siano state le proteste, sta di fatto che Ciriani ha fatto retromarcia da una parte spiegando che l’emendamento non è mai stato depositato e quindi non è stato ritirato, e dall’altra che si trattava di una proposta per una disponibilità da parte di Governo e maggioranza a discutere, discussione che si è immediatamente ingigantita suggerendo che una questione così importante non poteva essere oggetto di un dibattito frettoloso.

Qualche considerazione. Dobbiamo innanzitutto ricordare che, a oggi e secondo i dati Ocse, i medici, complessivamente, nel nostro Paese sono superiori alla media europea, anche se sono carenti in alcune aree (emergenza-urgenza, medicina di base, …), ma la loro distribuzione per età dice che fra qualche anno, per via dei pensionamenti previsti, saremo in sofferenza anche complessivamente. In secondo luogo, l’allungamento della vita e la discussione attorno al concetto di anzianità (>65 o >75 anni?) devono sicuramente far riflettere non solo sull’età di pensionamento, ma anche sulle attività che un soggetto in buona salute svolge (o può svolgere) dopo il ritiro dal lavoro. Già oggi molti professionisti, anche perché coloro che vanno in pensione sono soggetti che per via delle esperienze accumulate sono caratterizzati da elevata professionalità, continuano a lavorare con diverse modalità (consulenze, contratti, cooperative, …) e in strutture che li richiedono. In terzo luogo è diventato evidente il problema demografico della notevole riduzione delle nascite. Se si ipotizza che le nuove generazioni siano attratte dalla professione medica (rispetto alla scelta di altre professioni) con lo stesso rapporto di oggi, per via della contrazione delle nascite per ogni medico che va in pensione non è disponibile un altro medico che gli subentri: in altre parole, non c’è sufficiente forza lavoro fresca che possa sostituire numericamente chi va in quiescenza. E si possono aggiungere anche ulteriori argomenti più specifici e meno generali.

In definitiva, si pone con evidenza per il comparto sanitario, e per i medici in particolare, non solo il tema (che caratterizza tutti i lavoratori, del resto) dell’età di pensionamento in quanto tale, ma anche quello di come utilizzare proficuamente per colmare alcune difficoltà del Servizio sanitario nazionale esperienza e forza lavoro una volta che si è in quiescenza, naturalmente non come obbligo ma per chi è in condizioni di farlo e lo desidera (si veda il contributo dato da molti sanitari in pensione con riferimento alle vaccinazioni per il virus Sars-CoV-2). È evidente che il tema va messo sul tavolo ma è altrettanto evidente che la delicatezza dell’argomento e l’individuazione di soluzioni adeguate richiede una discussione non frettolosa.

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