Il problema dei farmaci prescrivibili in Italia (circa 10.000) e della loro reperibilità nelle nostre farmacie e nelle strutture sanitarie si è aggravato in questi giorni, ma già nel 2023 per alcune medicine per i cardiopatici era stato segnalato l’allarme: molti farmaci non hanno un sostituto generico e per alcuni non c’è proprio alternativa e sono “salvavita” perché indispensabili.



La situazione è grave già da parecchi mesi come peraltro denuncia anche Oms segnalando che in due anni e mezzo la situazione si è acuita e Aifa ha dovuto prendere misure drastiche, da una parte avviando l’importazione forzata dall’estero pur di colmare le necessità della popolazione italiana e contemporaneamente , dall’altra, impedire l’espatrio delle medicine dirottate su mercati più ricchi – a partire dalla Svizzera -, dove si riscontra una disponibilità privata a pagare lo stesso prodotto farmaceutico un prezzo decisamente più alto. Di chi è la colpa?



Le aziende farmaceutiche affermano che vi è irreperibilità del principio attivo (sempre più spesso prodotto in Cina e India), questioni legate alla produzione, provvedimenti di carattere regolatorio, un imprevisto incremento delle richieste del medicinale o emergenze sanitarie concentrate. Vero è che se le aziende farmaceutiche non comunicano alle Regioni la mancanza delle scorte e queste a loro volta non segnalano all’Aifa la questione non si può avviare un procedimento che porterà a una sanzione inflitta al responsabile legale dell’autorizzazione e della commercializzazione del medicinale (Aic).Vero è comunque che una medicina “salvavita” indispensabile, per esempio, per le insufficienze pancreatiche e difficilmente rintracciabile nelle farmacie italiane che costerebbe 17,34 euro, magari presente in scaffale, da noi viene venduto al doppio, ma si può richiedere nella Svizzera italiana. Lo spediscono previo bonifico di 125 euro, sette volte tanto. Alcune Regioni (Piemonte) lo stanno acquistando in proprio per distribuirlo nelle farmacie del territorio.



Il nostro ministero della Salute ha attivato una Commissione per accertare i fatti che coinvolgono comunque un vasto orizzonte internazionale, ma viene legittimo il dubbio che alcune aziende farmaceutiche tendano ad andare verso mercati che garantiscono loro ritorni economici maggiori nel mercato privato.

Con 34,4 miliardi di euro di produzione, l’industria farmaceutica in Italia rappresenta un asset strategico dell’economia. Leader in Europa, insieme a Germania e Francia, grazie alla crescita delle esportazioni aumentate negli ultimi dieci anni del 117%, più della media Ue (112%), in particolare grazie all’incremento di prodotti a più alto valore aggiunto. Tra il 2021 e il 2026 a livello mondiale le imprese del farmaco investiranno in R&S 1.300 miliardi, il più alto investimento al mondo. Un’opportunità di crescita e sviluppo che l’Italia può cogliere, grazie alle sue eccellenze scientifiche e industriali, se implementerà politiche per accrescere l’attrattività e la competitività del sistema.

Comunque è anche vero che grazie alla ricerca farmaceutica, alle innovazioni regolatorie e a più di 200 collaborazioni tra aziende e centri di ricerca pubblici, in un anno sono state prodotte 13 miliardi di dosi di vaccini anti-Covid e due terzi della popolazione mondiale ne ha ricevuta almeno una. L’Italia riveste una posizione di rilievo: è tra i primi quattro Paesi Ue per export di vaccini, è un hub per la produzione di anticorpi monoclonali e antivirali ed è ai primi posti al mondo per pubblicazioni scientifiche.

Auguriamoci comunque che si “produca” di più e per la nostra salute.

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