Aria di guerra in Medio Oriente, secondo quanto detto dal ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, durante una sua visita negli Stati Uniti. “Abbiamo ordinato al nostro esercito di prepararsi alla possibilità di un attacco militare all’Iran”, sono le sue minacciose parole. Le cause che potrebbero portare a questa eventualità, ha proseguito Gantz, sono “l’ammassarsi di truppe iraniane ai confini con l’Iraq”, “il nulla di fatto prodotto dai colloqui di Vienna sul rientro di Teheran nell’accordo sul nucleare” e “una accelerazione preoccupante dell’arricchimento dell’uranio negli ultimi mesi”.
Biden non ha gradito queste parole, pronunciate per di più sul suolo americano, un modo per coinvolgere indirettamente gli Usa, come ci spiega Filippo Landi, già inviato della Rai a Gerusalemme: “Il segretario di Stato americano ha immediatamente chiamato il premier Bennett esprimendo il malumore per quanto detto da Gantz con una tempistica che è sembrata volutamente scelta per sabotare i colloqui di Vienna, che si sono riaperti proprio in queste ore dopo cinque mesi di stallo”.
Gantz minaccia la guerra: cosa c’è di realistico nelle sue parole e quanto di propagandistico?
Le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano fatte negli Stati Uniti e in Florida, non a caso uno degli stati americani che ha sostenuto più di altri la vecchia amministrazione Trump, sono realistiche. Si tratta di una affermazione complessa, perché viene detto che i colloqui di Vienna, ripresi in queste ore dopo cinque mesi di stallo, non stanno portando a nessuna positiva conclusione. Ecco perché ha verbalmente dato il mandato all’esercito di preparare un eventuale attacco contro Teheran.
Parole forti, prese unilateralmente. Gli Stati Uniti c’entrano qualcosa?
Sono dichiarazioni che, rilasciate in territorio americano, hanno irritato fortemente l’amministrazione Biden. Il segretario di Stato ha telefonato al premier Bennett ufficialmente per affermare che non ci sono divergenze tra i due paesi, ma ufficiosamente per manifestare tutta l’irritazione degli Stati Uniti per giudizi espressi, oltre tutto, ancor prima che i colloqui di Vienna riprendessero.
È vero che il nuovo presidente iraniano, come ha detto ancora Gantz, rispetto al predecessore Rohani è più intransigente e meno disposto a un accordo?
Non c’è dubbio che il nuovo presidente iraniano stia chiedendo con forza ancora maggiore rispetto al predecessore che i colloqui portino rapidamente all’abolizione delle sanzioni che hanno danneggiato fortemente l’economia dell’Iran, a tal punto da essere una delle cause di natura politica della sconfitta di Rohani. In altre parole, gli è stato imputato di aver ripreso i colloqui senza raggiungere alcun risultato.
Ma dal punto di vista tecnico è cambiato qualcosa? Gantz dice che l’arricchimento dell’uranio ha subìto una brusca accelerazione, è vero?
Sull’aspetto tecnico dell’arricchimento dell’uranio ai fini della produzione di una bomba nucleare c’è da dire che due settimane fa era stato raggiunto un primo accordo tecnico, che riguarda tutti gli stabilimenti produttivi iraniani, tranne uno. L’Iran ha precisato che tempi e modi delle verifiche degli ispettori Onu saranno concordati tra le parti, non hanno quindi sbattuto la porta in faccia agli ispettori delle Nazioni Unite. È una situazione complessa con molti attori e un elemento in comune fra Usa e Iran, che vogliono arrivare a una rapida conclusione, all’opposto delle intenzioni israeliane.
Le parole di Gantz possono essere viste come un tentativo di sabotare i colloqui di Vienna?
Gantz sa benissimo che tra l’annuncio di un possibile attacco israeliano, un attacco solo ed esclusivamente aereo perché Israele nulla può di più, e la sua messa in pratica, i tempi sono abbastanza lunghi. Ancor più lunghi per un eventuale confronto sul terreno con in mezzo anche Arabia Saudita e Kuwait, ad esempio, dove il protagonista dovrebbe cambiare.
Chi sarebbe il nuovo protagonista?
Gli Stati Uniti. Israele mira a un possibile scontro iniziato dall’Iran per spingere gli Usa a un conflitto terrestre, ma dimentica un particolare. Gli Usa si sono appena ritirati dall’Afghanistan e nella storia politica e militare americana un nuovo conflitto non può avvenire se non prima di molti anni. Dopo la sconfitta in Vietnam, gli Usa sono entrati in guerra solo 15 anni dopo, nel 1991 con la prima guerra del Golfo e dieci anni dopo in Afghanistan. Tanto ci vuole perché l’opinione pubblica americana possa accettare un nuovo scontro terrestre.
(Paolo Vites)
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