Il recente accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, sponsorizzato da Donald Trump, con il riconoscimento dello Stato di Israele da parte di Abu Dhabi ha provocato pesanti reazioni negative tra i palestinesi. Olp e Hamas hanno accusato gli Emirati di aver tradito la loro causa, avallando di fatto la politica annessionista di Netanyahu. A queste accuse si sono subito allineati Turchia e Iran, entrambi Stati non arabi, ma all’interno del mondo arabo le posizioni sembrano meno compatte, suscitando le preoccupazioni dei palestinesi che altri governi della regione seguano l’esempio degli Emirati. Com’è ora avvenuto per il Bahrein, che ha deciso anche di partecipare con Israele e Emirati Arabi Uniti alla firma dell’accordo a Washington, alla presenza di Donald Trump. Trump ha sottolineato il fatto che l’accordo con Bahrein sia stato annunciato in concomitanza con la ricorrenza dell’attacco alle Torri Gemelle del 2001.
Tuttavia, nella recente riunione dei ministri degli Esteri della Lega Araba la mozione palestinese di condanna del precedente accordo con EAU non è stata approvata, così come non è passata la posizione di alcuni Paesi arabi che ne volevano invece un’aperta legittimazione. Si è ribadito però il valore della proposta avanzata dall’Arabia Saudita, approvata dalla Lega nel 2002, basata sui due Stati e con Gerusalemme Est capitale dello Stato palestinese.
Anche i palestinesi hanno indetto incontri, in teleconferenza tra Ramallah e Beirut, per superare le loro divisioni, nove anni dopo che un simile incontro al Cairo era fallito. Secondo quanto riporta Arab News, il confronto è avvenuto tra 12 fazioni dell’Olp, Hamas e Islamic Jihad, in un’atmosfera apparentemente collaborativa. Ai comitati che hanno studiato le varie questioni aperte sono state date cinque settimane per preparare i loro rapporti in vista della prossima riunione. I commentatori hanno sottolineato l’importanza in sé di questo incontro, pur indicando le notevoli difficoltà oggettive per una reale riunificazione tra le fazioni, in particolare tra Fatah e Hamas.
A livello ufficiale l’accordo UAE-Israele è stato condannato da tutti gli esponenti palestinesi e ha perciò causato scalpore la posizione di Suha Arafat, come riporta Al Monitor. La vedova di Yasser Arafat ha chiesto scusa agli Emirati per le manifestazioni di protesta palestinesi in cui sono state bruciate le loro bandiere ed effigi di Mohammed bin Zayed, il principe protagonista dell’accordo. Le reazioni dell’establishment palestinese sono state molto nette, accusando la vedova di approfittare del nome di Arafat per parlare per conto di tutti i palestinesi, mentre non riveste alcun ruolo ufficiale e parla solo a nome suo. Suha Arafat ha anche dichiarato di essere stata minacciata e che è disposta, se costretta, a rivelare il contenuto dei diari di Arafat, a suo dire “scomodi” per i vertici palestinesi.
La vedova di Arafat è anche accusata di essere complice di Mohamed Dahlan, ex capo di Fatah a Gaza, membro del Consiglio Legislativo Palestinese, avversario di Abbas ed espulso dal movimento nel 2011. Rifugiato negli Emirati e nel frattempo condannato in Palestina per corruzione, è consigliere del principe Mohammed bin Zayed e gli viene da molti attribuito un ruolo rilevante nel raggiungimento dell’accordo con Israele. Acerrimo nemico di Hamas e ostacolato da buona parte dell’establishment palestinese, in quanto considerato al servizio di Usa, Egitto e Israele, viene comunque da alcuni ritenuto un possibile successore di Abbas alla Presidenza.
In questo agitato scenario, sembra emergere dal basso la richiesta di un completo rinnovamento dei vertici palestinesi, attraverso le sospirate elezioni – l’ultima è stata nel 2006 – che permettano la partecipazione delle nuove generazioni finora escluse. Una nuova presidenza e un nuovo Parlamento che permettano un confronto costruttivo tra le parti in causa e che risolvano finalmente, dopo più di settant’anni, le due questioni, palestinese e israeliana.
Le due questioni non possono che essere risolte insieme e ciò deve essere capito non solo da israeliani e palestinesi: anche i Paesi arabi, l’Europa e gli Stati Uniti devono agire concretamente in tal senso. C’è da augurarsi che i recenti accordi e quelli che probabilmente seguiranno siano dei passi concreti su questa strada.