Non sarà più la guerra di prima. Il miraggio di un conflitto a bassa intensità è svanito dopo l’uccisione del numero due di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut e del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran. Due atti, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato del TG Esteri, che di fatto (soprattutto il secondo) sono una sorta di dichiarazione di guerra di Netanyahu all’Iran. Nella seconda fase della guerra, come la chiama il capo di Hezbollah Nasrallah, assisteremo ad attacchi e contrattacchi e questo continuerà fino a che non si affronterà la questione palestinese e quella mediorientale dal punto di vista politico. In questo senso, finora gli USA hanno peccato di iniziativa, rivelandosi incapaci di realizzare un piano per uscire dalla situazione e di farlo accettare a Israele. E qualche responsabilità ce l’ha anche l’Europa, che rimane alla finestra senza capire che l’onda d’urto della guerra arriverà anche qui.
Si parla di un summit dell’Iran con i suoi proxy (Hezbollah, Houthi, milizie irachene) per concordare la risposta da dare a Israele per l’uccisione di Haniyeh e prima ancora quella di Fuad Shukr a Beirut. Cosa dobbiamo aspettarci?
Il leader di Hezbollah Nasrallah in queste ore ha detto: “Numerosi stati ci hanno chiesto di non rispondere all’omicidio compiuto a Beirut. Abbiamo riferito che la nostra risposta sarà ponderata e concreta”. Una conferma che la risposta militare ci sarà, ma anche che molti si sono fatti avanti per evitare un ampliamento del conflitto. Alcuni analisti ritengono che ormai siamo in presenza di un conflitto asimmetrico, dove da una parte Israele mantiene una potenza militare in grado di danneggiare profondamente l’Iran e dall’altra Teheran non vuole prestare il fianco a una distruzione grave delle sue infrastrutture nazionali. Per questo il tipo di risposta potrebbe essere pesante ma limitato, mentre alcune settimane fa, dopo la distruzione del consolato iraniano a Damasco e l’uccisione di uno dei leader dei pasdaran, la risposta fu vasta e annunciata.
Un’azione come quella dell’aprile scorso stavolta non avrebbe senso?
Esattamente, Hezbollah ha una risposta da dare e gli stessi Houthi hanno subito grossi danneggiamenti, ai loro porti ad esempio. Possibile che si concordi il da farsi, ma nella logica della guerra asimmetrica. Quello che è evidente è che chi ha compiuto questi atti, soprattutto l’uccisione di Haniyeh, mirava a far saltare la trattativa per il cessate il fuoco a Gaza e a coinvolgere l’Iran a pieno titolo. Colpire a Teheran un ospite che era andato all’insediamento del nuovo presidente è un messaggio chiaro. Pezeshkian, il presidente iraniano, era interessato a un dialogo con l’Occidente sul tema del nucleare, con la finalità di togliere le sanzioni economiche. L’esplosione nel cuore di Teheran è volta anche a impedire una svolta che metterebbe Israele ai margini della trattativa regionale. L’obiettivo era far saltare le trattative sulla Striscia ma anche e soprattutto quelle fra l’Iran e la comunità internazionale.
Cosa è cambiato davvero nella guerra ora?
La guerra si è aperta. Un intellettuale e storico come Benny Morris propone l’uso di armi non convenzionali contro l’Iran, vuole dire che c’è una parte della società israeliana che pensa a una guerra globale nel Medio Oriente. Il grande assente, intanto, incapace di definire una proposta, sono gli USA. Blinken non va oltre la richiesta di un cessate il fuoco immediato e della liberazione degli ostaggi per permettere l’ingresso di qualche centinaio di camion di aiuti in più. Gli Stati Uniti non hanno affatto compreso la gravità del tunnel nel quale Netanyahu ha portato l’intera regione. Sempre che non sia un gioco delle parti: cominciano a girare notizie sul coinvolgimento della CIA nei fatti di Beirut e Teheran. Il capo del Pentagono e Blinken le hanno smentite, ma nulla tolgono all’incapacità di formulare una proposta che fermi un conflitto ormai regionale: non c’è nessuna forma di pressione su Israele.
Nasrallah ha detto che il conflitto è entrato in una seconda fase, cosa significa?
Ai funerali di Haniyeh c’erano dei manifesti sui quali erano riunite le foto di persone uccise dagli israeliani, ma anche dagli americani: oltre ad Haniyeh, Suleimani, Yassin (fondatore di Hamas, nda). Ci dicono che questa è la fase nuova, in cui ci sarà una sistematica resa dei conti per tutti gli omicidi compiuti, compresi quelli degli ingegneri iraniani preposti allo sviluppo del programma nucleare. Una fase di attacco. L’Iran non starà più a contare i suoi morti. Nasrallah ha anche ripetuto che l’uccisione di Beirut non può essere considerata una vendetta per i ragazzi morti sulle alture del Golan perché Hezbollah non c’entra. Nelle prime ore dopo la tragedia la segreteria di Stato americana aveva detto che, se c’era una responsabilità degli Hezbollah, andava accertato se quella località per loro era un obiettivo militare. Se persino loro mettevano in dubbio la volontarietà vuol dire che forse questo episodio non è così chiaro.
L’Iran con le sue milizie però ha oggettivamente complicato la situazione. Che responsabilità hanno nella guerra?
I cosiddetti terroristi all’interno dei singoli Paesi sono movimenti che usano le armi. Gli Hezbollah sono stati un caposaldo della resistenza libanese all’invasione israeliana ai tempi di Sharon. Anche gli Houthi sono un movimento politico come gli Hezbollah, anche se hanno una forte componente militare. Hamas è stato un movimento politico che ha partecipato alle elezioni.
Per uscire dalla situazione bisogna dare anche una risposta politica?
Non può essere ridotto tutto al confronto militare, così non si va molto lontano. Si ucciderà oggi Haniyeh, domani Nasrallah, poi un dirigente iraniano, ma in tutta la regione rimarrà l’instabilità. Bisogna tenere conto della specificità dei singoli stati: sono rimasto colpito dalle parole con cui Kamala Harris ha detto che gruppi come Hezbollah sono terroristi e basta. Ha dimostrato di non conoscere la complessità di un Paese come il Libano. Con l’Iran si può trattare, si può chiedere lo scioglimento delle milizie, ma c’è un rapporto con le componenti politiche dei singoli Paesi di cui tenere conto. Oppure saremo condannati, anche per la nostra insipienza, all’instabilità che si aggrava.
Lo scenario che ci si prospetta quindi è quello di attacchi e contrattacchi?
Sì. Come in tutte le guerre, con periodi di tregua ed esplosione di violenza, ciechi bombardamenti: 15 persone sono appena state uccise in una scuola rifugio. Una guerra di cui non si vede la fine in cui però l’Europa e l’Italia non sono alla finestra, i suoi soldati sono nel Sud del Libano in forza di un comportamento che negli anni scorsi è stato apprezzato. Stare alla finestra pensando che in Medio Oriente si uccidano tra di loro non ha senso: l’onda d’urto coinvolgerà gli stati europei. La favola di una guerra a bassa intensità è finita.
Anche l’Europa non si rende ancora conto della gravità del conflitto?
In Medio Oriente, quando si è alla vigilia di ulteriori gravi disastri, in qualche modo la Chiesa cattolica viene interpellata. Se è confermata la telefonata di Erdogan a Papa Francesco questa è una spia preoccupante. È successo anche quando Giovanni Paolo II si oppose pubblicamente all’intervento in Iraq: aveva compreso la gravità di quello che stava accadendo un po’ prima degli altri.
(Paolo Rossetti)
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