Caro direttore,
il 7 ottobre di cinque mesi fa Hamas sferrava l’attacco sui civili israeliani che è diventato il casus belli per l’ennesima guerra in Medio Oriente. Una guerra asimmetrica tra uno dei migliori eserciti del mondo e un coacervo di esaltati male armati, ma con i capi ben al sicuro in Qatar, definiti un’organizzazione terroristica. Dopo due mesi, il tempo per capire la traiettoria della guerra, cercando di depurarla dalla propaganda, ho scritto un articolo dove cercavo di chiarire le premesse dello scontro e gli obiettivi che ogni parte in causa si prefiggeva. Compresi i sospetti sull’impreparazione e la lentezza nella risposta tattica di Israele, strumentale a una reazione tanto forte come quella in corso da cinque mesi. Qualcuno sostiene che la reazione di Israele sarebbe sproporzionata. Meglio così: per esserci proporzione gli ebrei sarebbero dovuti andare casa per casa a Gaza, decapitare uomini e donne e compiere tutta una serie di amenità.
In realtà sono molti oggi a chiedersi se gli israeliani non abbiamo indugiato quel tanto che serviva a difendere i loro confini, per poter fare tabula rasa a Gaza. Stamane ho riletto quell’articolo. I conti tornano tutti. L’unico attore nuovo nel quadrante sono gli Houthi, che costituiscono l’unico risultato ottenuto dall’Iran per allargare il conflitto. Come innesco per una escalation, Gli Houthi si stanno rivelando un bell’osso da rodere per i Paesi occidentali che appoggiano Israele. L’azione degli Houthi sta provocando un calo del 30% del traffico commerciale attraverso il Mar Rosso e una credibile minaccia di tagliare i cavi sottomarini che, tra l’Asia e l’Occidente, portano circa un quinto del traffico internet globale.
Il regime teocratico iraniano, che ha ispirato la guerra, ha disperato bisogno di compattare con una narrazione panislamica ed antioccidentale a prescindere il suo mosaico etnico e linguistico. Mosaico scosso dalle rivolte degli ultimi tempi, ma che resiste grazie alla maggioranza che vede comunque l’odiato regime come baluardo alla penetrazione occidentale. Finora l’indifferenza degli ottomani e del mondo arabo ha impedito l’allargamento del conflitto e ha sostanzialmente permesso a Israele di agire pesantemente a Gaza. Con l’aiuto degli Houthi, Teheran ha rotto l’accerchiamento strategico attuato dall’Occidente, dalla NATO, dalla Turchia finanziata dal Qatar, e dai Paesi arabi. In questo modo l’Iran ha aperto un vero secondo fronte dopo quello ucraino. Un fronte che sta facendo emergere la maturità della egemonia mondiale statunitense, che delega l’azione sul campo ai suoi vassalli. Il Vietnam e l’Afghanistan hanno sicuramente insegnato qualcosa. Senza considerare la difficoltà degli Stati Uniti di replicare ulteriormente gli interventi militari, dopo quello per il contenimento cinese nel Pacifico e quello delegato in Ucraina.
Ne è prova la missione europea a guida italiana delegata a scontrarsi con gli Houthi per difendere il traffico commerciale nel Mar Rosso. Un altro attore che sta emergendo è proprio l’Italia, che è indubbiamente una dei primi destinatari delle minacce Houthi. Perché l’Italia ha un fortissimo interesse a che la rotta del Mar Rosso rimanga sgombra. Per dare un solo dato, si pensi che dal porto di Trieste passa tutto il petrolio diretto in Baviera. L’Italia, inoltre, a partire dal 2021 col Governo Draghi, grazie alla proposta di legge sulla Zona Economica Esclusiva, sta cercando di ritagliarsi uno spazio maggiore nel Mediterraneo, mare che molti cominciano a chiamare Medio Oceano e che è essenziale per la globalizzazione come collo di bottiglia tra Est ed Ovest. Ne sono la prova la base della marina russa in Siria e la istituenda base russa in Libia. Senza contare la Turchia, Paese NATO che insieme al governo locale sta proponendo la costruzione di una base dell’Alleanza atlantica a Durazzo. La stessa Cina ha cercato invano di entrare nei porti italiani, fino ad entrare in quello di Trieste attraverso una collaborazione tedesca.
Il Governo italiano sta cercando di recuperare nel quadrante mediterraneo l’importanza nella NATO che è stata persa a favore della Polonia con lo spostamento ad Est dell’asse atlantico. Visto il progressivo disimpegno statunitense nel fianco Sud della NATO, vi sono spazi strategici che vanno riempiti, per evitare, e qui forse siamo un po’ in ritardo, che trovino spazio forze opportuniste come la Turchia o anche ostili, come la Russia. Vediamo cosa farà il Governo.
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