Il gigantesco rimorchiatore classe Sliva “Evgeniy Churov” della Marina russa pochi giorni fa ha trasmesso un messaggio a bassissima frequenza alle 18:10 UTC, riportando le condizioni del mare e del tempo insieme alla sua posizione, come informa ItaMilRadar. I messaggi in VLF sono quelli generalmente destinati alla ricezione da parte di unità sommerse: si deduce che il rimorchiatore, entrato nel Mar Mediterraneo, stesse procedendo verso la base di Tartus, in Siria, in scorta logistica al sottomarino Novorossiysk, destinato a sostituire (o affiancare) l’omologo Ufa, classe Kilo di ultima generazione, che probabilmente tornerà in Russia.
Il cambio ha preceduto di poco l’inizio di una grossa esercitazione che sta mobilitando l’intera flotta russa del Mediterraneo, nel tratto di mare tra Siria e Cipro, un quadrante già particolarmente affollato da unità della US Navy, già da settimane schierate a deterrenza nei confronti di Hezbollah o delle mosse più volte annunciate da parte dell’Iran. L’esercitazione russa rientra nel vastissimo quadro Okean, iniziato il 10 settembre scorso: si tratta delle più imponenti manovre aeronavali russe dai tempi della Guerra fredda, nelle acque del Pacifico (dove alle unità russe si sono unite anche quelle della marina cinese) e dell’Oceano Artico, del Mediterraneo, del Mar Caspio e del Mar Baltico. Risultano mobilitate più di 400 unità di superficie, sottomarini e navi di supporto, più di 120 aerei ed elicotteri dell’aviazione navale, circa 7mila mezzi e veicoli speciali di vario tipo, nonché oltre 90mila soldati. Nel Mediterraneo sono salpate dal porto siriano di Tartus (per ora l’unica base russa nel quadrante) le fregate Gorshkov e Grigorovich, la corvetta Merkury e il sottomarino Ufa, che è stato avvicendato (o affiancato) dal Novorossiysk, unità “coperte” dai cacciabombardieri Sukhoi SU24 e da altri aerei ed elicotteri specializzati nella lotta ai sommergibili.
Lo scopo delle manovre russe non è solo quello di “agitare la bandiera”, ma dimostrare ai competitori in loco di essere in grado di respingere eventuali attacchi, anche da parte di sottomarini, con un unico dispositivo complesso di unità immerse, di superficie e in cielo che richiede l’utilizzo di sistemi di controllo sofisticati e di altrettanto modernissimi sistemi d’arma, anche a lunghissimo raggio d’azione. Ma l’obiettivo vero è sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che il Mare Nostrum può essere in breve anche russo, e che il sostegno alle iniziative sciite non è solo a parole. Poco importa se nel confuso organigramma delle proxy iraniane Hamas si colloca nel mondo sunnita, mentre Hetzbollah in quello sciita: in pratica, il nemico comune (Israele-Usa-Occidente) ha azzerato le distanze di credo.
Nel frattempo, sono tornati a colpire anche i ribelli Houthi (in maggioranza sciiti zayditi): un missile lanciato dallo Yemen è caduto ieri in un’area aperta del centro di Israele, senza causare danni o vittime, ma generando nuove perplessità sulle capacità di copertura delle difese aeree di Tel Aviv, nonché di tutte le unità (comprese quelle dislocate con la missione europea Aspides) che dal Mar Rosso dovrebbero scongiurare questo tipo di attacchi. Sull’altro fronte, a nord dello Stato ebraico, continua senza sosta il lancio di razzi e droni dal sud del Libano, al quale Israele replica altrettanto frequentemente con raid sui siti di Hezbollah. L’altro giorno almeno 55 razzi sono stati sparati dal sud del Libano sull’Alta Galilea, intercettati solo in parte, ma caduti fortunatamente in aree aperte, causando comunque diversi incendi. Il premier Netanyahu parla di “un confronto su larga scala” con Hezbollah, mentre Biden ha rispedito il suo inviato Amos Hochstein per tentare di scongiurare un’escalation. Non sarebbe ancora fissata la data per l’offensiva israeliana in Libano, anche se tutti sanno che la sola soluzione diplomatica non può bastare e soprattutto non può portare al ritorno di decine di migliaia di sfollati dal nord di Israele. L’obiettivo di Israele, insomma, sarebbe quello di avviare un esteso fronte di guerra con il Libano il prima possibile, a costo di creare nuove migliaia di sfollati dai territori più esposti.
Intanto proseguono in Israele le manifestazioni per aumentare la pressione sul governo affinché garantisca il rilascio degli ostaggi a Gaza (dei 251 prigionieri catturati durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre, 97 sono ancora trattenuti, anche se l’esercito israeliano stima che 33 siano già morti). “Le manifestazioni per le strade sono importanti – sostiene Nitsan Machlis sul quotidiano Haaretz –, ma per trasformare veramente la società israeliana, il centro-sinistra deve concentrarsi sull’educazione premilitare, un’arena attraverso la quale la destra sionista religiosa sta attivamente rimodellando il volto dell’élite del Paese. Siamo arrivati a crescere una generazione di leoni e leonesse”. Questa dichiarazione apre il video promozionale pubblicato qualche mese fa dall’organizzazione Habithonistim (Israel Defense and Security Forum). La clip mostra i leader del movimento di destra, tra cui il generale Amir Avivi, lanciare la prima mekhina (preparazione, ndr) dell’organizzazione, o accademia di leadership premilitare”.
Oggi insomma appare sempre più difficile ipotizzare a breve una soluzione pacifica del conflitto, anzi si è più che giustificati nel prevederne un’ulteriore, pericolosissima, estensione.
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