Dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran e la conferma della morte di Yahya Sinwar a Rafah, avanti un altro. Ecco il nuovo capo di Hamas, Khalil Al-Hayya, che si trova per ora al sicuro nel Qatar. Al-Hayya, classe 1960, è originario di Gaza, è una figura laica, ha studiato a Gaza e in Giordania. Nel corso degli anni ha visto cadere per mano ebraica sette parenti stretti compresi alcuni figli e fratelli. Il dato positivo è che si trova appunto in Qatar sotto il controllo diretto del locale ferocissimo emiro Al Thani, che da una parte ne garantisce la sicurezza e dall’altra fa prevedere anche una svolta diplomatica nel quadrante.



Le uccisioni approntate da Israele in Medio oriente hanno permesso ad Al-Hayya di scalare velocemente la gerarchia di Hamas dopo l’assassinio di Saleh Al-Arouri, portandolo al vertice dell’ufficio politico nell’agosto del 2024. Fa anche parte del parlamento palestinese in rappresentanza di Gaza City dal 2006. In corsa per la leadership di Hamas erano anche due irriducibili: Muhammad Sinwar, fratello del defunto Yahya, e Khaled Mashaal. Per le posizioni espresse durante la sua carriera, Al-Hayya è ritenuto più capace di intavolare una trattativa, visto che ha partecipato attivamente ai negoziati per un cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi. In particolare, il suo profilo più aperto al negoziato sarebbe provato dalle posizioni espresse dopo la strage del 7 Ottobre, posizioni che non puntavano apertamente allo sterminio degli ebrei e da dichiarazioni che vedrebbero il nuovo leader più propenso a deporre le armi, trasformando Hamas in una formazione politica per ottenere uno Stato palestinese nei confini del 1967. Tale alternativa, che per ora pare piuttosto lontana all’orizzonte, fa comunque percepire Al-Hayya come un leader col quale è possibile dialogare rispetto ad altri esponenti di Hamas. Anche fonti interne ci dicono che a livello internazionale Al-Hayya viene considerato interlocutore meno ostile e più propenso ad una trattativa di pace.



Oltre la cronaca altri elementi fanno pensare che il panorama mediorientale possa, anche a breve, normalizzarsi. Innanzitutto il fallimento del round diplomatico dell’Iran nel Golfo, che ha acclarato, se mai ve ne fosse stato bisogno, l’isolamento dei persiani. E visto l’assoluto riserbo dopo gli incontri, forse il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian è andato a proprio a cercare un’uscita onorevole dalla situazione. A conferma, l’altro ieri i sauditi hanno ufficialmente comunicato quanto era già trapelato, e cioè che  rinunceranno all’obiettivo di portare il petrolio a 100 Usd al barile e aumenteranno, a dicembre, la produzione di 180mila barili di petrolio al giorno, anche vendendo a prezzi più bassi per recuperare quote di mercato mondiale. Per inciso, anche la Libia sta tornando ai livelli di estrazione normali. Questo danneggia l’Iran sotto embargo, che vedrebbe ulteriormente aggravare la propria condizione economica. Ma potrebbe piegare in misura maggiore anche l’economia di guerra russa, più delle sanzioni, per gli alti costi estrattivi e le tecnologie antiquate degli impianti petroliferi che gravano sull’industria russa. A margine ricordiamo che nonostante gli sforzi del Cremlino l’economia di guerra russa dipende per il 30 per cento dagli idrocarburi ed a dicembre 2024 anche l’ultimo gasdotto ucraino per l’Europa verrà chiuso.



Il domino attuale vedrebbe, dunque, l’Iran isolato e impoverito, con Teheran, suo malgrado, a dover accettare un ridimensionamento; e la Russia, a corto di risorse, più propensa ad accordarsi con l’Occidente, altrettanto stufo della guerra ucraina, e non più interessata a tenere in vita un secondo fronte in Palestina. La famiglia Al Thani, a capo del regime qatariota, che non vanta discendenza diretta da Maometto ed è stata insediata nel golfo nel XIX secolo dagli inglesi per contrastare la pirateria nel Golfo, ora che controlla direttamente il leader di Hamas potrebbe influenzare le trattative. Ricordiamo in proposito che il ceostante flusso denaro qatariota verso Gaza attraverso Israele è stato la fonte del potere e della stabilità di Hamas ed anche questo ha un peso. Da ultimo, anche la fine della vacatio legis americana con l’entrata in carica del nuovo presidente potrebbe portare diversi attori a placare le loro velleità. Vediamo cosa ci riserva il futuro.

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