“Molte delle politiche europee rischiano di essere incomplete se non vengono collocate all’interno di una più ampia dimensione euro-mediterranea”. Negli ultimi anni, anzi mesi, l’equilibrio mondiale si è sbriciolato, i punti di riferimento degli Stati sono radicalmente cambiati e la situazione è diventata quanto mai incerta, indefinita, apparentemente alla ricerca di un nuovo ordine.
In uno scenario del genere, Giorgia Meloni (si veda l’intervento ai Med Dialogues di Roma) sta ora riproponendo lo stesso sguardo che alla fine degli anni ’50-inizio degli anni ’60, per iniziativa di La Pira e Mattei consentì sviluppo e speranze di pace. Una proposta – oggi come allora – fuori dagli schemi e in grado di affrontare problemi apparentemente insolubili come migrazione e povertà senza ricorrere a una logica di contrapposizioni e chiusure. Valorizzando, invece, le potenzialità di uno spazio di relazioni antico e in prospettiva ricco di futuro come il Mediterraneo.
Uomo di profezie, il Sindaco di Firenze aveva chiara la consapevolezza che Europa e Africa si affacciavano nel “mare delle genti” con la possibilità di incontrarsi per dare corpo a relazioni di pace, capaci di scardinare il paradigma della Guerra Fredda. Un luogo dove culture e religioni potevano dialogare. Non il Mare Nostrum ma -amava ripetere – il Grande Lago di Tiberiade. La Pira promosse i Colloqui Fiorentini mentre Mattei, uomo concreto, visionario sì ma abile ad orientarsi nei labirinti dei poteri, ribaltava la concezione del rapporto Nord-Sud. L’Africa non veniva più vista come area da sfruttare (colonialismo) ma insieme di popoli e nazioni da trattare alla pari e che potevano assicurare all’Europa quelle risorse energetiche indispensabili per sostenere la crescita.
Il “piano Mattei” era questo: un atteggiamento e non un progetto burocratico. Insistendo sulla sua attualità e necessità, la premier lo definisce oggi per l’Europa “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita”. “Il Mediterraneo – ha detto – ha bisogno di essere percepito prevalentemente come comunità di destino, un punto d’incontro tra identità nazionali e non, come troppo spesso accade, un luogo di morte causata da trafficanti di vite umane. E quindi ci vuole più Europa, ci vuole più Europa sul fronte sud”. Più cooperazione, insomma, in quanto via per affrontare questione migratoria e crisi energetica insieme agli aspetti negativi sempre vivi: traffico di esseri umani, radicalismi islamici, povertà e argini al cambiamento climatico. Impostando relazioni che trasformano le difficoltà in occasioni di rinascita.
“Così, se per esempio – dice Meloni – il cambiamento climatico è causa di desertificazione, e perciò di ulteriore impoverimento e destabilizzazione, dall’altro lato esistono per paradosso opportunità offerte da territori sempre più desertici, che sono anche ricchi di acqua e quindi necessitano di tecnologie che consentono di sfruttare quell’acqua”. Si deve insomma realizzare un “partenariato a doppio senso” dove le parti danno e ricevono, promuovono scambi e migliorano le condizioni reciproche. Altra sottolineatura la sicurezza: “E’ quello che unisce, non ciò che divide, perché la sicurezza è la condizione abilitante, la precondizione allo sviluppo economico e sociale delle nazioni, alla promozione e protezione dei diritti umani, all’affermazione e consolidamento delle istituzioni democratiche”.
La prospettiva tracciata ha forti elementi di novità e va al di là delle facili e caricaturali rappresentazioni della destra meloniana che siamo soliti leggere. D’altro canto è importante che tutto ciò non si limiti all’enunciato buono per una circostanza o un convegno, ma diventi una sorta di programma da perseguire, coinvolgendo in Europa chi può contribuire a dar vita ai nuovi Colloqui Mediterranei.