RIMINI. Apertura nel segno dell’eccellenza musicale e del grande virtuosismo della scuola violinista italiana per il 42esimo Meeting per l’Amicizia tra i popoli con Uto Ughi. Il celebre Maestro sarà in concerto, sotto l’egida dell’Emilia Romagna Festival, questa sera alle 21.30 all’Arena Sgr in piazza Tre Martiri, per eseguire le “Quattro stagioni” di Antonio Vivaldi accompagnato dall’Ensemble d’eccezione denominato “Uto Ughi and Friends”, formato da sedici musicisti (biglietti su Vivaticket). L’esecuzione sarà preceduta dall’ascolto dei sonetti che lo stesso Vivaldi scrisse come introduzione di ciascuno dei quattro concerti.



I violini con cui il grande Maestro esegue i suoi concerti sono un Guarnieri del Gesù del 1744, uno degli ultimi prodotti dal liutaio cremonese e lo Stradivari del 1701 chiamato “Kreutzer” perché appartenne al celebre violinista a cui Beethoven dedicò la famosa Sonata. «Sono entrambi della grande scuola di liuteria di Cremona – spiega Ughi – ma sono due violini molto diversi tra loro. In pittura lo Stradivari assomiglierebbe a un quadro di Giotto, a un affresco di Raffaello, al Beato Angelico. Il Guarnieri invece avrebbe le tinte scure e misteriose di Vermeer, di Rembrandt, di Caravaggio. Si potrebbe dire che uno è l’Apollineo, l’altro il Dionisiaco».



Uto Ughi ha cominciato a suonare all’età di quattro anni, a sette si è esibito per la prima volta in pubblico, a dieci anni è andato a Parigi a studiare con uno dei più grandi compositori dell’epoca, George Enescu, lo stesso anno ha esordito da solista in un’orchestra sinfonica. «Non sono stato un bambino prodigio», dice. «Ho ricevuto soltanto una buona educazione all’ascolto. Oggi in Giappone i bambini cominciano a suonare ancor prima di quanto abbia fatto io, già a tre anni».

Al celebre Maestro, nominato nel 2019 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri presidente della Commissione incaricata di studiare una campagna di comunicazione a favore della diffusione della musica classica presso il pubblico giovanile, abbiamo chiesto quindi di dirci quale ritiene sia l’importanza delle musica dal punto di vista sociale ed educativo, anche con riferimento a quel “Coraggio di dire io” che è il titolo della kermesse riminese: «Occorre sentire il dovere di tramettere agli altri la naturale propensione alla bellezza rappresentata dalla musica. L’arte è sempre una ricerca continua di affinamento, di bellezza, di espressione ed eleganza. I Paesi che oggi sono più attenti alla musica sono quelli dell’Estremo Oriente, dove ci sono tante orchestre giovanili, di bambini, di ragazzi, così come in Venezuela con quanto di straordinario ha fatto il ministro Abreu perché si insegnasse a far musica anche nei quartieri più poveri, come per attuare una forma di riscatto sociale. In Italia da questo punto di vista abbiamo molto terreno da dissodare, specie nelle scuole, mentre sono vigenti leggi assurde come quella che parifica l’ingresso ai Conservatori a quello ai corsi universitari. Un errore grandissimo, poiché si deve iniziare a far musica dalla prima infanzia. Suonare uno strumento significa lavorare per un futuro migliore».



Lei ha sottolineato come le Quattro Stagioni di Vivaldi siano un importante esempio di musica figurativa, che aiuta a sviluppare l’immaginazione visiva e auditiva. La musica dovrebbe entrare a far parte della nostra cultura a partire già dalla scuola.

La musica arriva molto di più ai giovani se gestita come immagine. C’è bisogno di qualcuno che spieghi la musica offrendo stimoli che aiutino a seguirla. A me piace dare spiegazioni, non troppo lunghe, dare qualche informazione sul periodo storico, sulla funzione estetica, sui motivi di ispirazione dei brani, come faceva nei suoi celebri programmi televisivi Leonard Bernstein.

Lei ha citato altresì, a proposito della capacità della musica di andare oltre le barriere politiche e ideologiche, l’importante esempio rappresentato dall’iniziativa di Daniel Barenboim, che ha creato un’orchestra formata da israeliani e palestinesi «che in nome della musica si siedono davanti a un leggio e condividono la stessa bellezza».

È la ricerca continua delle espressività, della bellezza, dell’armonia, che unisce e fa “accordare” le persone. La musica è l’unico grande linguaggio universale. Ascoltare e fare musica è una lezione di socialità e aiuta la comprensione tra i popoli, diventa strumento di amicizia e collaborazione, lavorando insieme.

Quale valore anche ideale assume, dopo il lungo fermo causato dal Covid, riportare la musica a contatto del pubblico?

Questo Covid è stato tremendo. La musica ha cessato di esistere per un anno e mezzo. Un’interruzione che si spera non si ripeta più. Forse la mancanza di musica avrà generato la necessità per il pubblico di ritrovarla e di ritornare ad ascoltarla come prima. Come disse Mahler “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. È sentire il desiderio di partecipare.

Quale profondo rapporto unisce la spiritualità alla musica?

È chiaro che la più straordinaria fonte di creatività musicale viene da Dio. Il violino non fa eccezione. Le più belle composizioni di Giuseppe Verdi sono i Requiem, come di Schubert, Mozart e Bach sono le Messe. La musica di questi geni era intrisa di una fede che oggi non c’è più. La musica è ricerca dell’assoluto, un tuffo nell’eternità, una porta d’accesso al trascendente. Attraverso la musica l’uomo cerca di liberarsi dalle scorie della materia e accedere a un’altra forma di esperienza, non materiale.

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