“Una passione per l’uomo” è un titolo bellissimo, ma è nello stesso tempo una scommessa. Il prossimo Meeting si annuncia spalancato su uno spettacolo di esperienze, di incontri, di imprese e di testimonianze. Tuttavia l’uomo con il quale saremo chiamati a fare i conti – cioè in primis noi stessi – è un uomo inevitabilmente ferito, a volte spossato, come un novello Sisifo, dalla lotta con il virus che ogni volta si ripresenta su mutate specie.
Per questo Bernhard Scholz, presentando il Meeting 2022, ha messo tra i temi che inevitabilmente incroceranno il titolo quello della fragilità. La passione per l’uomo, richiamata in modo così chiaro da don Giussani come cuore dell’avventura cristiana, è una passione per un uomo segnato profondamente dall’esperienza della propria fragilità.
È un dato di sempre, un dato costitutivo del nostro essere, ma che in altre stagioni e situazioni poteva anche essere eluso in nome di un’energia culturale e pratica capace di generare progresso e anche orgoglioso senso di dominio delle cose. Oggi invece la fragilità non è più fattore aggirabile. Come ha sottolineato Scholz, “prima di essere qualcosa da superare, va riconosciuto come fattore distintivo dell’uomo”. Probabilmente sulla fragilità va operato un ribaltamento: non va considerata un problema ma un valore.
Qualche tempo fa un grande psichiatra oltre che amico del Meeting, Eugenio Borgna, aveva notato che anche dal punto di vista semantico le cose negli ultimi tempi sono cambiate. Ha scritto Borgna: “Accanto ai significati che abitualmente le attribuiamo, uno splendido dizionario (il Dizionario analogico della lingua italiana edito da Zanichelli) assegna alla fragilità i significati di vulnerabilità, di sensibilità e di ipersensibilità, di delicatezza”. La fragilità è indice della coscienza del limite.
“È grazia”, continuava lo psichiatra, “è linea luminosa della vita, che si costituisce come il nocciolo tematico di esperienze fondamentali di ogni età della vita… che racchiude in sé infiniti orizzonti di senso”. Contro un’idea di uomo segnata dallo strapotere delle certezze, si fa avanti una realtà di uomo segnato dalla “coscienza dell’incompiutezza”. Del resto l’esperienza recente, nella sua concretezza, insegna che, come ha sottolineato Scholz, “anche i più efficaci modelli statistici e gli algoritmi di ultima generazione, le misure governative e le scoperte in campo medico non mettono al riparo da una pandemia che sta continuando a segnare la storia”.
In questo modo il Meeting si apre ad una documentazione dell’umano nel solco di quanto papa Francesco ha continuamente indicato in questi otto anni di pontificato. L’attenzione ai poveri e all’umanità fragile (“gli scarti”) non è solo una sacrosanta preoccupazione di carattere sociale. È invece un qualcosa di molto più profondo e radicale: è un invito a toglierci la maschera, a riconoscerci nella nostra condizione costitutiva di povertà, di bisogno.
L’errore sarebbe quello di percepire questo come un di meno, come ammissione di una sconfitta. Invece è una conquista, un di più di sensibilità che ci porta al cuore del reale. È un’inedita delicatezza di sguardo sugli altri e su di noi. Ed è anche una vera, affidabile crescita di conoscenza delle cose, garantita da un sano senso di realismo.
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