Per verificare di persona cosa significa incontrare l’altro, sperimentare, come la chiama lui, “l’alterità”, l’amicizia in atto, lo scrittore Daniele Mencarelli questa estate si è messo a fare l’autostop “come non facevo più da trent’anni”. È uno degli aspetti curiosi e affascinanti di quest’uomo, balzato alla notorietà grazie alla serie televisiva Tutto chiede salvezza tratta da un suo libro auto biografico, ma con una lunga carriera di scrittore, poeta, autore teatrale alle spalle.
Non è la prima volta che partecipa al Meeting di Rimini, ma questa volta lo fa da protagonista: oggi prenderà parte a un incontro importante con il prefetto del dicastero vaticano per la cultura e l’educazione José Tolentino de Mendonça ed è curatore di una mostra, Da solo non basto. In viaggio con i ragazzi di Kayròs, Portofranco e Piazza dei Mestieri. “L’amicizia” ci ha detto “è un lavoro, anche una fatica e i ragazzi oggi tendono a sfuggire questo aspetto, cercano qualcosa di magico che li affranchi da ogni impegno troppo gravoso”.
Ancora una volta prendi parte al Meeting di Rimini, sempre più da protagonista. Cosa ti attira, cosa ti spinge a tornare?
Sostanzialmente mi comporto come quasi con ogni tipo di richiesta che mi fanno, infatti faccio impazzire i miei collaboratori perché dico sempre di sì a ogni invito. In realtà mi muovo quando penso di poter dare una mano, quando si riconosce che sono in grado di saper produrre idee e di essere utile, allora reagisco dicendo di sì. Per quanto riguarda la mostra di cui mi sono occupato, ho conosciuto personalmente le tre realtà di Kayròs, Portofranco e Piazza dei Mestieri (realtà educative e professionali che aiutano giovani in difficoltà a compiere percorsi scolastici e professionali, ndr) e so che grande valore positivo rappresentano. L’incontra con il cardinale invece rappresenta una occasione talmente bella che non potevo dire di no, essendo lui un amante come me della poesia e avendo mille cose in comune.
Questo tuo modo di affrontare la vita con disponibilità totale si connette con il titolo del Meeting (“L’esistenza umana è una amicizia inesauribile”). In una epoca storica dove l’individualismo più esasperato sembra dominare, cosa vuol dire amicizia?
L’amicizia è una meravigliosa epifania che, a partire da un sorriso, da una azione che si deve compiere insieme, da una emergenza che fa ritrovare due persone dalla stessa parte, ti porta a una di quelle grandi vie che utilizza l’imprevisto. Da soli riusciamo a far ben poco, si vive di imprevisti.
Che infatti è il titolo del mostra che hai curato: Da solo non basto.
Questa estate dopo trent’anni mi sono rimesso a viaggiare con l’autostop, per riprendere quell’idea di confidenza con l’alterità sconosciuta che oggi spaventa tanto. Rispetto al Meeting c’è altro, molti di coloro che lo organizzano sono fra i migliori amici di me e di mia moglie. Si è creata una alchimia meravigliosa che ci lega a questi posti. Torniamo sempre sapendo di incontrare tanti amici. Il bello dell’amicizia per noi romani è dire la verità quando si scherza e al Meeting ci saranno tante occasioni per questo.
Una “amicizia inesauribile”, una amicizia che oggi per tanti è difficile da trovare. Cosa diresti a un ragazzo a questo proposito?
Questa estate ho fatto una settimana di incontri in montagna con molti ragazzi. Mi sono reso conto che loro desiderano una sorta di formula magica che li affranchi dalla militanza che l’amicizia richiede, che è poi una grande sfida. Ho detto loro, ma lo dico anche a me stesso, che il bello dell’amicizia non è teoria, non è risolvere i problemi. Oggi dire una cosa così è quasi eversivo, in un periodo storico dove si parla di qualità del tempo da spendere con figli e mogli. Ma io dico: non ho armi, non ho stratagemmi più di te da offrire, ho solo la voglia di stare con te perché ti voglio bene. È una idea di presenza.
Spiegaci questo passaggio.
C’è chi all’interno delle amicizie gioca un ruolo speciale, quello di chi conosce la vita un millimetro più di te. Per cui posso andare da lui sapendo che posso fidarmi di lui perché sa qualcosa più di me. Quelle persone che non mi permetto di chiamare padri ma fratelli maggiori.
È un po’ il tema del tuo ultimo libro, quello dell’amore genitoriale in Fame d’aria, è così?
Sì, nel senso che esistono persone che per una serie di esperienze diverse ma spesso molto più simili di quanto sembri riescono a intercettare il dolore e la sofferenza altrui. Quando c’è una persona che sa accoglierti vuol dire aver trovato qualcuno che possa metterti sulla via giusta.
L’incontro con il cardinale José Tolentino de Mendonça ha come titolo un verso di Giacomo Leopardi, Che fai tu luna in ciel? Lo hai scelto tu?
No, è nato tutto da una serie di coincidenze. Lui ha pubblicato un libro sull’amicizia, l’idea era di partire dall’amicizia come sentimento salvifico tanto quanto lo è l’amore. Ognuno spazierà dai suoi libri, dalle sue esperienze. Lui è una persona come monsignor Zuppi, persone che hanno nella dolcezza e nel carisma qualcosa difficile da spiegare a parole.
Come hai vissuto il grande successo della serie televisiva tratta dal tuo libro Tutto chiede salvezza? Sei soddisfatto di come è stato rappresentato?
Sì, a me interessavano le dinamiche all’interno della stanza del centro di ricovero, perché una persona che soffre, lo fa perché è alla ricerca di un senso all’esistenza. Quelle dinamiche sono rimaste identiche al libro. Tra l’altro presto uscirà la seconda stagione, e a differenza della prima, che era ispirata alla mia esperienza reale, avrà come contenuto storie di invenzione.
(Paolo Vites)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI