“L’esistenza umana è un’amicizia perché l’esistenza è data, è data da un Mistero che ci costituisce. Sta a noi cogliere il tu di Dio come costitutivo della nostra esistenza”. Oggi mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, sarà ospite del Meeting di Rimini, dove svolgerà una riflessione sul titolo di questa edizione, la frase di don Luigi Giussani tratta dal Senso religioso. Il Sussidiario ha chiesto a mons. Baturi un’anticipazione.



“L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”. Lo ha detto Giussani, eppure la nostra esistenza è piena di defezioni, sconfitte e tradimenti. 

È vero che la nostra vita è piena di problemi e difficoltà, ma è proprio questa la sfida di don Giussani, scendere ad una profondità più radicale rispetto a tutte le possibili contraddizioni. L’esistenza umana è un’amicizia perché l’esistenza è data, è data da un Mistero che ci costituisce, e  accettare l’esistenza come data, cioè donata, stabilisce un rapporto di amicizia, perché l’amicizia è un amore corrisposto.



Bisogna accorgersi del dono che abbiamo, del dono che siamo.

Esatto. Pensare la vita e l’esistenza come un’amicizia significa scendere alle radici dell’esistenza e percepirne la sua natura di dono gratuito. Accettarsi, e perdonarsi, è la prima forma di amicizia che possiamo stabilire con il Mistero che ci fa.

Nella sua vita è stata decisiva l’amicizia di don Francesco Ventorino. Nel 2011 Ventorino scrisse un libro intitolato “Luigi Giussani. La virtù dell’amicizia”. Nel testo don Francesco dice che trovò don Giussani concordare sul fatto che la sua proposta è “non un criterio da apprendere, ma uno sguardo che non si finisce mai di imparare”. Cosa vuol dire?



Significa che la proposta educativa di don Giussani non richiede l’apprendimento di un corpo di dottrine, neppure l’osservanza di precetti. Si tratta – ed è questo che stabilisce l’amicizia – di accettare la presenza dell’altro come un motivo fondamentale per comprendere se stessi. Questa, in fondo, è la fede. La fede è decisiva per la vita nella misura in cui cogliamo il “tu” di Dio come costitutivo della nostra esistenza. Il punto è che non è possibile scandagliare questa profondità se non con gli occhi di un amico, qualcuno che mi aiuta a leggere l’esistenza, la mia esistenza, e i segni di questo dono di cui sono fatto.

Qual è la prova che un’amicizia è vera?

La cura dell’altro. Ci si prende cura dell’altro come di un destino, perché noi innanzitutto siamo dono, siamo donati a noi stessi. È l’altra cosa importante contenuta in quella frase: la verità di noi ci viene restituita nello sguardo di chi ci ama profondamente.

Viene in mente Agostino, quando scriveva che “niente ti è amico se non hai un amico”.

Sì, perché l’amico ti riconcilia con la vita, permettendo di leggere la vita come un bene. Nella Bibbia la prima parola di Dio su Adamo è “non è bene che l’uomo sia solo”. È un punto radicale: l’uomo non può capire se stesso come un bene se non dentro un’esperienza di amore, e la forma più gratuita e condivisa e vicendevole dell’amore si chiama amicizia. Non è un caso che sempre don Ciccio parlasse di “amicizia coniugale”, leggendo anche il rapporto coniugale come una forma di amicizia.

Papa Francesco, nella Fratelli tutti, proprio perché “nessuno resta fuori dall’amore universale” di Cristo, parla anche di una “amicizia sociale”. Che tipo di amicizia i cristiani devono costruire nella società?

Quella tra cittadini, diceva san Tommaso, è capace di essere una vera amicizia nella misura in cui si assume la responsabilità del bene dell’altro e del bene comune. Detto con le parole di don Giussani, l’amicizia genera un popolo. Quando padri, madri e figli, uomini e donne, condividono la cura l’uno dell’altro, l’amore al destino dell’altro, questi rapporti, dilatandosi, creano un popolo. Sull’amicizia sociale, Francesco approfondisce mirabilmente l’eredità di Giovanni Paolo II.

Ci spieghi meglio.

La cura del bene comune richiede il riconoscimento dell’altro nella sua dignità, non la sua dimenticanza o strumentalizzazione, come di fatto pretende l’individualismo dominante. Ma non è tutto,  perché un’amicizia diventa capace di cambiare le condizioni sociali quando diventa partecipazione. Ogni amicizia, in altre parole, è fatta di una solidarietà attiva, operativa. La sussidiarietà si riempie di contenuto per la partecipazione di “ambiti di amicizia” al lavoro, nell’economia come nell’organizzazione di servizi alla persona, o negli ambiti della ricerca e dell’educazione.

Secondo lei oggi ai cattolici è necessario un partito politico?

No; non in questa circostanza storica. Serve piuttosto un’assunzione di responsabilità per il bene di tutti. Il contributo specifico che possono e dovrebbero dare i cristiani, dice don Giussani, è dilatare la cura per l’uomo e generare la coscienza del popolo.

La Gmg di Lisbona ha riscosso una grande partecipazione. Nel discorso di accoglienza al Parque Eduardo VII la parola “tutti” ricorre 28 volte. Francesco comincia dicendo ai giovani “voi non siete qui per caso”, e alla fine li esorta: “non stancatevi mai di fare domande”. In mezzo, la Chiesa, dove “c’è posto per tutti, tutti, tutti”. Cosa dobbiamo trattenere di questo grande evento e del suo messaggio?

Innanzitutto un dato di fatto che va lealmente accolto. Centinaia di migliaia di giovani si sono mobilitati facendo sacrifici e sono andati a Lisbona in un clima di letizia perché convocati da un uomo credibile che ha fatto una proposta forte, fortissima, di significato. Lasciamoci interrogare dalla presenza di tanti giovani! Il primo annuncio del Papa è che non siamo frutto del caso perché siamo amati. È il tema del Meeting: la vita è un bene perché è data da un Amore che chiede solo di essere riconosciuto e accettato.

E poi?

In quel discorso il Papa ha aggiunto altre cose molto importanti. L’amore è una chiamata a instaurare con Cristo, e quindi tra di noi, un rapporto che mette a tema le domande e le inquietudini del cuore, la ricerca del bene e della verità. Il tema della Gmg era “Maria si alzò e andò in fretta”. Noi andiamo in fretta perché cerchiamo la verità. Papa Francesco ha proposto ai giovani una verità decisiva sull’esistenza, e li ha aperti a un nuovo protagonismo della vita e nella missione della Chiesa oltre che per la costruzione di un mondo più giusto.

In che modo può avvenire questo?

Siamo chiamati a cogliere nel cuore dell’uomo la domanda non di “qualcosa” ma di Qualcuno che è in grado di aiutarci, di perdonarci, rendendo bella la nostra vita. Il movimento più intimo del cuore, la nostra inquietudine, deve diventare il contenuto del rapporto con Cristo e tra noi. Altrimenti il cristianesimo rischia di restare in superficie.

Cosa significa che la Chiesa è per tutti?

La Chiesa è per tutti perché il vangelo è per tutto. Non ci sono frangenti della vita che sfuggono all’amore di Cristo e al suo abbraccio di misericordia. È per tutti perché l’esistenza di tutti può essere abbracciata dalla misericordia del Padre. Per tornare al tema dell’amicizia, l’amore, quello vero, è senza condizioni. Mosè parla con Dio come a un amico! Appena poniamo un limite all’amicizia essa diviene connivenza, compagnia fondata su interessi parziali.

“Non vi chiamo più servi, ma amici” dice Gesù ai suoi. Come distinguere l’amicizia vera dalla schiavitù, da quei rapporti fra gregari che spesso avvelenano anche la vita delle comunità cristiane? 

Sottolineerei due aspetti. Il primo è l’amore alla libertà dell’altro, il secondo è il cambiamento nel sentimento di sé. Quanto al primo, dobbiamo stimare il cuore dell’altro per ciò che è, per la sua capacità di cercare, abbracciare e vivere l’incontro con Cristo, che ci chiama amici perché ci ha scelti.

E il secondo aspetto che attesta un’amicizia vera? 

La letizia. Il sentimento di sé cambia e diventa lieto, si apre al gusto della vita. La fede ci apre a orizzonti ampi, quando siamo incapaci di vera amicizia i nostri orizzonti sono angusti e il cuore soffoca.

Anche il Sinodo è una forma di esercizio dell’amicizia dentro la Chiesa. Lei che cosa desidera di più per l’assemblea ordinaria del prossimo ottobre?

Di aiutarci a comprendere che la dinamica autentica della fede è quella dell’incontro, dell’incontro con Cristo e quindi tra le persone. È questa dinamica dell’incontro che potenzia e valorizza la capacità del popolo cristiano di trovare vie nuove di evangelizzazione. In fondo, l’insistenza sulla sinodalità è l’insistenza sull’importanza di ciascuno che solo un incontro di amicizia svela. In carcere a Cagliari ho assistito a cose sorprendenti: quando le persone si sono sentite e si sentono amate, chiamate per nome, e chiamate a esprimere se stesse come contributo più vero alla Chiesa, sono successe cose stupende, anche le più impensabili.

Perché don Giussani è tornato così spesso sul primo incontro di Cristo con Giovanni e Andrea?

Quel “che cosa cercate?” è un “voi siete importanti per me, siete unici”. Per loro fu una scommessa vinta: lo seguirono perché capivano che ciò che accadeva stando con Cristo era più grande di tutto quello che avevano capito e vissuto fino ad allora. E sacrificarono i loro progetti a ciò che d’improvviso, da quel momento, si svelava ai loro occhi. Senza questa sete anche la sequela cristiana rischia di essere solo una partecipazione sociologica.

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