“Oggi dire io è necessario perché ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità di fronte agli altri”, dice il cardinale Gualtiero Bassetti. Ma non è meno necessario Cristo, “in ogni istante della vita, dal concepimento alla morte”, perché, spiega Bassetti citando Paolo VI, Cristo è necessario “per vivere in comunione con Dio Padre”, per “essere rigenerati nello Spirito Santo” e “per conoscere il nostro essere e il nostro destino”.
Oggi il presidente dei vescovi italiani sarà al Meeting di Rimini per parlare del “Mediterraneo frontiera di pace”. In questa intervista si appella al governo “a prendersi cura dei fragili, dei poveri e degli ultimi”, risponde alle critiche sull’irrilevanza della Chiesa in tempo di pandemia e invita ai cattolici ad opporsi all’eutanasia.
Eminenza, qual è la sua lettura del titolo del Meeting? Perché dire “io” oggi è nuovamente necessario?
Oggi dire “io” è necessario perché ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità di fronte agli altri. L’io a cui faccio riferimento non è l’io individualistico che si disinteressa dell’altro, ma l’io della persona umana che si colloca al centro delle relazioni e che si prende cura di chi gli sta accanto. È un “io” relazionale. E la relazione con l’altro nasce, prima di tutto, dal riconoscimento di se stessi e della propria soggettività.
Quali sono le ricadute di questa concezione?
Solo in questo modo ognuno di noi può diventare responsabile di fronte alla comunità ecclesiale, alla famiglia, ai colleghi di lavoro, alle istituzioni e alla società. Oggi, purtroppo, è più facile agitare i problemi che assumersi una responsabilità pubblica, magari cercando soluzioni concrete ai tanti problemi che affliggono questo tempo. Il “coraggio di dire io” è invece una grande chiamata alla responsabilità personale.
E dove sarebbe la “prova” che per dire compiutamente “io”, come è emerso ieri dalla relazione di Javier Prades, serve il Vangelo? O detto altrimenti, perché è necessario Cristo?
Cristo è necessario in ogni istante della vita, dal concepimento alla morte. Per usare la splendida espressione di Montini nella lettera pastorale Omnia nobis est Cristus per la quaresima 1955, Cristo è necessario “per vivere in comunione con Dio Padre”, per “essere rigenerati nello Spirito Santo” e “per conoscere il nostro essere e il nostro destino”. Ma è necessario anche “per scoprire la nostra miseria”, “per deplorare i nostri peccati” e “per conoscere il senso della sofferenza”. In sintesi, utilizzando sempre le parole di Paolo VI, Cristo è necessario per realizzarci come uomini.
“Mediterraneo frontiera di pace”: qual è o quale dovrebbe essere il ruolo proprio dell’Italia in questo mare “nostro”?
L’Italia è un Paese che, per storia, cultura e posizione geografica, è completamente inserito nel Mediterraneo. Per questi motivi, l’Italia non può non svolgere un ruolo di leadership in questo bacino che unisce ben tre continenti.
Quale tipo di leadership?
Mi riferisco soprattutto ad una leadership morale, non solo politica, che possa riuscire ad incarnare concretamente la visione profetica di Giorgio La Pira: fare del Mediterraneo il “grande lago di Tiberiade”, un mare che unisce e non divide, un luogo di pace e non di conflitti. Questa potrebbe essere una missione di grande rilevanza storica per l’Italia e anche per la Chiesa italiana: trasformare il Mediterraneo in un luogo di incontro. In altre parole, significherebbe ridare al Mediterraneo una nuova centralità in tutto il mondo.
Ritiene davvero possibile accogliere tutti i migranti che vorrebbero arrivare in Italia?
Con il cuore e con la mente sì, ma so bene che è una prospettiva impossibile da realizzare. Serve però una visione globale che abbia a cuore la sorte di questi uomini e donne. Oggi la questione afghana ci chiama ad una nuova assunzione di responsabilità. Abbiamo tutti visto le immagini di quegli uomini che scappano attaccandosi alle ali degli aerei o di quelle mamme che cercano far passare i propri bambini oltre i muri di recinzione per darli ai soldati. Non possiamo chiudere le nostre porte ai rifugiati afghani così come a quelli provenienti da altri Paesi dell’Africa.
Cosa serve per tenerle aperte?
È necessaria una politica globale, perlomeno europea, di gestione e assistenza dei migranti, perché l’Italia non può essere lasciata sola come Paese di primo asilo nel Mediterraneo.
Qual è l’appello che rivolge al governo come presidente dei vescovi italiani?
Un appello a prendersi cura dei fragili, dei poveri e degli ultimi. La bussola di ogni azione politica ispirata dal cristianesimo deve essere sempre la difesa della dignità della persona umana in ogni momento dell’esistenza. Non possiamo pertanto abbassare lo sguardo sul fine vita, sugli ammalati, sulle risorse da assegnare alle famiglie, sulla salvaguardia del Creato e sulle politiche lavorative. Occorre giustizia ed equità, senza opacità e favoritismi. Il popolo italiano ha grandi capacità di adattamento, anche nelle ristrettezze, ma è stanco di promesse vuote, ha bisogno di fatti concreti. Ripartiamo dagli ultimi.
Giuseppe De Rita su Avvenire ha osservato che “la pandemia ha dimostrato che gli uomini di Chiesa non hanno saputo fare un passo oltre la soglia”; “in campo sociale la Chiesa ha manifestato la sua irrilevanza, l’incapacità di discutere con il potere”. Come risponde?
Mi permetto di utilizzare le parole di don Mazzolari che ho già citato altre volte: la Chiesa, a parte le ovvie difficoltà iniziali, ha saputo essere concretamente, come diceva il parroco di Bozzolo, “l’ambulanza per chi cade”. E lo ha testimoniato in mille modi diversi.
A chi o a cosa pensa innanzitutto?
In primo luogo, alle centinaia di preti che sono morti in prima linea, a causa del Covid, continuando a svolgere la propria missione di vicinanza con la popolazione. Poi lo ha testimoniato con la creatività ecclesiale: i sacerdoti e i laici hanno fatto tutto il possibile per stare vicino alla gente utilizzando, com’è noto, anche il web. In terzo luogo, con la carità: la Caritas e le associazioni ecclesiali hanno aiutato e sostenuto migliaia di famiglie e di anziani letteralmente abbandonati da tutti.
E quanto al “potere”?
Il problema non è discutere con il potere, cosa che abbiamo fatto con pazienza e rispetto di tutte le parti in causa, ma stare vicini alla gente annunciando a tutti che la salvezza è Cristo e null’altro.
La Cei ha espresso “grave inquietudine” per la campagna firme pro eutanasia, definita una “vittoria dell’individualismo e nichilismo”. Come deve interpellare i credenti questa accelerazione sulla “dolce morte”?
I cattolici sanno bene che la vita è un dono di cui gli uomini non possono disporre a proprio piacimento. Oggi però siamo in un contesto dominato non solo dall’individualismo e dal nichilismo, ma anche dall’utilitarismo: tutto ciò che non è utile al processo produttivo o alla realizzazione dei nostri desideri può essere scartato, messo da parte o addirittura cancellato. Si tratta, dunque, prima di tutto di un problema esistenziale e culturale. La richiesta di certe leggi come quella pro eutanasia, infatti, nasce in un contesto sociale che da un lato non conosce l’importanza delle cure palliative per ridurre la sofferenza nei malati terminali, e dall’altro lato ormai da tempo ha smesso di chiedersi “cosa è l’uomo e perché te ne curi?”. Oggi domina una concezione della vita tutta incentrata sul successo, sul godimento dei beni materiali e sul presente.
In quali modalità, in quali forme i cattolici sono chiamati ad opporsi?
Il mondo liquido che abbiamo di fronte è il prodotto di questa concezione “filosofica” dell’esistenza umana. Occorre fronteggiare questa visione, non solo opponendosi alle leggi, ma offrendo una nuova proposta di senso all’uomo moderno. Una proposta che faccia dire alle donne e agli uomini di oggi: sì la vita è un dono e va difesa sempre!
(Federico Ferraù)
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